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Ragioni e prospettive del risultato elettorale

Il centrosinistra, sconfitto perché disunito e centrato sui diritti civili, deve trovare un’identità politica e culturale. Il centrodestra, vincente perché coeso e attento a temi socioeconomici, deve dimostrare di saper governare. L’analisi di Nazzareno Pietroni

I risultati elettorali del 25 settembre premiano il centrodestra e puniscono il centrosinistra, con un’affluenza in calo. Il blocco sociale di centrodestra ottiene un numero di preferenze analogo a quello della precedente tornata ma vince perché unito nei collegi elettorali. Anche il centrosinistra prende all’incirca gli stessi voti delle elezioni del 2018 ma viene penalizzato dall’assenza di candidature di coalizione nei collegi elettorali. I cinque stelle vedono i loro consensi più che dimezzati ma vincono al sud. Il terzo polo Calenda-Renzi conquista un proprio spazio politico, determinato a implementarlo nel tempo.

Le dinamiche del voto si muovono su più livelli. Il primo dato che emerge è la tendenziale permanenza dei cittadini nei recinti elettorali: il grosso degli spostamenti ha riguardato travasi interni ai blocchi di destra e sinistra, con i cinque stelle che hanno attinto o hanno restituito consensi a destra e sinistra: FdI ha preso voti dalla Lega, da Forza Italia e dai cinque stelle di destra; il PD ha concesso voti di centrosinistra al Terzo polo e di sinistra ai cinque stelle. In ogni caso il consenso politico italiano ha espresso una forte componente identitaria destra/sinistra, che ha consentito spostamenti di voto essenzialmente nell’ambito della stessa area politica.

Il secondo rilievo riguarda l’offerta politica. Il centrodestra ha vinto perché coalizzato intorno a un nucleo di valori e interessi condivisi, connessi a sicurezza, nazionalismo, atlantismo e crescita economica, accantonando i distinguo su europeismo e interessi corporativi: l’operazione ha funzionato, perché ha consolidato il consenso d’area e attratto qualche voto dall’esterno. Il centrosinistra si è diviso tra radicalismo e liberalismo, assistenzialismo grillino e agenda Draghi, ideologia LGBTQ e pragmatismo civile, sostegno militare all’Ucraina e crisi economica, offrendo una proposta politica poco definita e centrata prevalentemente su europeismo e antifascismo. L’operazione non ha funzionato: da un lato ha confermato la presa identitaria antifascista sull’elettorato tradizionale ma dall’altro non è risultata competitiva con la chiara offerta politica dei cinque stelle (assistenzialismo) e del Terzo polo (liberalismo progressista).

Una riflessione particolare merita la concentrazione dell’offerta politica di centrosinistra sul tema dei diritti civili, dell’aborto e della tutela delle minoranze di genere. Tale scelta segue un’impostazione consolidata, che prevale sull’impegno per le rivendicazioni socioeconomiche e la definizione di proposte di cambiamento della società. I risultati elettorali mostrano che, nonostante le drammatizzazioni elettorali e il supporto dell’informazione e della cultura dominante, la strategia non ha pagato in termini di voti e non ha spostato rilevante consenso politico; anzi appare ragionevole ritenere che tale strategia, in un periodo di crisi economica, possa aver fatto defluire consensi verso partiti più attenti ai problemi socioeconomici dei cittadini.

Una terza questione riguarda l’effetto politico e culturale della vittoria elettorale di Fratelli d’Italia. Non è dubbio che l’elettorato di centrodestra non condivida gli allarmi sul rischio fascismo e ritenga che sia giunto il momento di consegnare il tema alla storia. Sul versante opposto la dirigenza del centrosinistra può prendere atto dell’evoluzione dei tempi e chiudere l’epoca dell’antifascismo militante e delle pregiudiziali a destra, politiche e culturali, oppure può perseverare nella contrapposizione ideologica, alimentando l’identità antifascista della propria base: nel primo caso contribuirà alla democrazia dell’alternanza e ridurrà le lacerazioni sociali sulla questione; nel secondo caso compatterà una parte del consenso di sinistra ma ostacolerà la dialettica democratica, alimentando contrapposizioni culturali risalenti nel tempo e riducendo la propria capacità di attrarre consenso nell’area moderata.

Particolare attenzione meritano inoltre le emozioni sottostanti la campagna elettorale. Il centrodestra veicola emozioni prevalentemente positive, come speranza/promessa di miglioramento e cambiamento (economico e socioculturale), rassicurazione (sicurezza e immigrazione) e orgoglio identitario (nazionalismo e protezionismo sociale/produttivo). Il centrosinistra esprime prevalentemente paura per la destra montante, rabbia verso l’invasore russo, compassione nei confronti dei soggetti deboli (migranti e minoranze) e rassicurazione europeista. La componente positiva/negativa di tali emozioni può aver contribuito non poco al risultato elettorale.

Infine contano i leader. Non è dubbio che Giorgia Meloni sia stata la leader vincente: ha posizioni politiche coerenti nel tempo, non ha votato la rielezione di Mattarella al Quirinale, è stata all’opposizione del governo Draghi, non ha condiviso la gestione della pandemia, è univocamente atlantista, è abile nella comunicazione ed è donna. La sua leadership è costata cara innanzitutto a Matteo Salvini, che ha pagato i troppi errori degli ultimi anni, un’immagine politica indebolita e una comunicazione non sempre efficace. Sul versante opposto Enrico Letta non ha acceso le folle, ha confermato la sua posizione di leader di un sistema in crisi economica, è risultato incerto nella linea politica, ha deluso le componenti pacifiste dell’area progressista, ha mostrato scarsa empatia nella comunicazione, offrendo nell’insieme una prestazione di leadership non all’altezza delle attese. Nel contempo il Segretario del PD ha sofferto la concorrenza di Giuseppe Conte, che ha resuscitato i cinque stelle collocandoli chiaramente a sinistra e si è legittimato come rappresentante delle marginalità sociali, riscuotendo il consenso derivante dal reddito di cittadinanza e dalla critica al metodo Draghi.

In definitiva il centrosinistra ha perso perché non è stato unito su valori e interessi condivisi, ha privilegiato i diritti civili sulle questioni socioeconomiche, ha pagato il prezzo della pandemia e della guerra, non ha avuto un leader attraente. Il centrodestra ha vinto in quanto coeso nei programmi e nei collegi elettorali, attento a temi sensibili per i cittadini e sospinto da una leader in ascesa come Giorgia Meloni. Nei prossimi mesi al centrosinistra spetta il compito di trovare una propria identità politica e culturale, da presentare al Paese e sostenere coerentemente nel tempo. Al centrodestra compete dimostrare di saper governare.

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