Il Cremlino cala l’asso: i flussi attraverso il Nord Stream 1 non riprenderanno finché l’Occidente non solleverà le sanzioni. Ma la Germania e l’Ue sono sempre meno intimorite e finalmente aperte alle grandi manovre per rispondere alla guerra economica di Putin. Assieme all’inverno, si avvicina il momento della verità
Il Cremlino ha buttato giù la maschera sul dossier Nord Stream 1. Non esplicitamente, facendo ricorso all’ambiguità, ma il risultato non cambia. Lunedì il portavoce di Vladimir Putin, Dmitry Peskov, ha dichiarato che i flussi verso la Germania non riprenderanno finché “l’Occidente collettivo” non solleverà le sanzioni contro la Russia. L’obiettivo è portare l’Europa alla canna del gas, letteralmente. E la mossa segna un’escalation dalla quale difficilmente si potrà tornare indietro.
La tensione stava già montando nei giorni scorsi, tra l’accordo sul tetto al prezzo del petrolio russo raggiunto venerdì dai Paesi del G7 e le discussioni in corso a livello europeo per riformare il mercato dell’energia (il piano definitivo è atteso entro fine settimana). Sono mosse studiate per contenere i prezzi per i cittadini europei e colpire i guadagni del Cremlino, riducendo la sua capacità di finanziare l’invasione dell’Ucraina, rese possibili grazie allo smottamento dell’opposizione interna – che in gran parte faceva riferimento a Berlino.
La risposta di Mosca è stata il solito ricatto energetico velato. I flussi via Nord Stream 1, che l’anno scorso rappresentavano il 35% delle importazioni russe in Ue, erano già al 20% della capacità nominale. Venerdì, poche ore dopo l’annuncio dell’accordo del G7, Gazprom ha comunicato che avrebbe sospeso la fornitura verso la Germania – appunto – per via di un “guasto tecnico”, una perdita d’olio in una stazione di pompaggio. Come già avvenne a luglio, l’azienda russa ha incolpato l’Occidente di rendere difficoltosa la riparazione con le sue sanzioni. Tesi smentita da Siemens, che fornisce e mantiene le componenti necessarie.
Anche il governo tedesco e l’Ue hanno contestato la giustificazione. “È importante ricordare che non esiste un solo gasdotto dalla Russia all’Europa”, ha dichiarato lunedì Tim McPhie, portavoce della Commissione europea per l’energia. “Se ci fosse un problema tecnico che impedisce le forniture attraverso il Nord Stream 1, ci sarebbe la possibilità, se ci fosse la volontà, di fornire gas all’Europa attraverso altri gasdotti” (Sokhanovka e Sudzha, che attraversano l’Ucraina, e South Stream in Turchia). Ma “non ci risulta che questo stia accadendo”, nonostante la promessa russa.
Intanto l’impatto si è riverberato sul mercato europeo. Lunedì mattina i prezzi del gas sono aumentati di oltre un terzo, mentre l’euro è scivolato sotto 0,99 dollari, il livello più basso dal 2002. Per la gioia del Cremlino, che spera di logorare il sostegno europeo per l’Ucraina a suon di bollette e rincari. “Ovviamente la vita sta peggiorando per le persone, gli uomini d’affari e le aziende in Europa”, ha detto Peskov; “ovviamente, la gente comune di questi Paesi avrà sempre più domande da rivolgere ai loro leader”.
Tuttavia, sembra che le minacce russe stiano perdendo la loro efficacia su Berlino. Dopo mesi di frenate sugli aiuti all’Ucraina e sulle sanzioni europee, dovute all’altissima dipendenza tedesca dal gas russo, il governo guidato da Olaf Scholz ha irrigidito la sua postura contro la Russia. Dopo aver ceduto su price cap e riforma del mercato energetico europeo, il cancelliere tedesco ha annunciato un pacchetto di aiuti da 65 miliardi di euro per attutire il colpo delle bollette.
“La Russia non è più un partner energetico affidabile”, ha dichiarato Scholz alla stampa. Una posizione condivisa dagli alleati occidentali, sintomo del fatto che l’uso politico del gas abbia già intaccato, irreversibilmente, il profilo internazionale di Gazprom. L’Ue, principale cliente della Russia e destinazione della maggior parte delle infrastrutture di pompaggio, si è già mossa per ridurre o addirittura eliminare il ruolo della Russia nelle forniture nei prossimi anni.
Ora che Putin ha deciso di giocare la carta della sospensione indefinita, è praticamente impossibile che i Paesi europei possano tornare ad acquistare grandi volumi da Gazprom. E dato che ci vorranno altri anni per costruire le infrastrutture che esportino il gas russo verso Oriente, la belligerante Mosca dovrebbe vedere i propri introiti assottigliarsi. Quello del Cremlino è un all-in: vuole rompere il fronte europeo nel prossimo inverno prima di ritrovarsi economicamente dissanguato.
La partita, dunque, si giocherà nei prossimi mesi. Ammettendo che l’Ucraina resista all’invasore e alla pressione economica, per l’Europa si profila la minaccia dei rigori invernali, che rischiano di aggravare quel rallentamento economico – dovuto a caro-energia e conseguente inflazione – che possibilmente si trasformerà in recessione non solo per la Germania, ma per gli altri Paesi dell’Ue. Gli stoccaggi europei viaggiano verso l’80% ma saranno sufficienti per coprire solo parte del fabbisogno, qualora la Russia diminuisse ancora i flussi.
Tuttavia, al netto della volatilità dei prezzi, pompare meno gas significa ricevere meno soldi. Il Cremlino ha bisogno degli introiti europei, l’Ue del gas di Gazprom, ed entrambi stanno valutando quanta sofferenza economica possono sopportare per prevalere sull’altro. Intanto alzano la pressione, chiusi in una spirale che non può che tendere verso l’alto. Siamo ufficialmente nell’endgame: le mosse europee delle prossime settimane determineranno la solidità della posizione occidentale.