Presto per il presidente russo potrebbe arrivare il momento in cui fare i conti con la realtà. Per Putin è difficile perdere, per questo quella che arriva potrebbe essere la fase più dura della guerra
Mikhail Khodorkovsky, magnate esiliato dalla Russia e ora leader dell’anti-putinista “Open Russia”, fa su Twitter un ritratto caustico della situazione in Ucraina: “La Russia è molto probabilmente il primo e unico stato al mondo in cui le persone fuggono non perché qualcuno abbia invaso il loro Paese, ma perché hanno invaso un altro Paese”.
La mobilitazione militare speciale invocata da Vladimir Putin non va eccezionalmente bene. Il richiamo di 300mila riservisti convocati per bilanciare perdite e difficoltà nella campagna ucraina ha prodotto fughe di massa. Il Kazakistan, che non sostiene apertamente la guerra russa e sta rompendo la sfera di influenza (ex)sovietica centro-asiatica, fa sapere che 98mila russi in età militare sono entrati nel Paese. Fuggiti dal rischio di essere spediti al fronte. Va anche detto che di quelli che firmano più o meno volonterosi, molti non saranno pronti a breve, e potrebbero essere non in grado di cambiare le sorti della guerra, anche per la bassa professionalità. Saranno carne da cannone, detto in modo meno educato.
Nel frattempo, sebbene abbia notevolmente rallentato in diversi punti di combattimento, la controffensiva ucraina procede e certamente non aspetta. L’inverno sta arrivando e, per i russi, con parte della linea logistica di rifornimento tagliata, potrebbe essere complicato tenere fronte al freddo. Diversamente, le forze Nato stanno già inviando equipaggiamenti invernali agli ucraini.
Risultato: presto potrebbe arrivare il momento in cui Putin si troverà a dover fare i conti con la realtà. E quello sarà il momento peggiore della guerra, perché quella realtà non è buona per Mosca. Il presidente russo ha legato il suo destino (presente e futuro della sua presidenza, del suo potere e della sua eredità) alla guerra. Ma non sembra esserci una via di uscita per lui.
Quella che vediamo dipanarsi è l’evoluzione del Piano B, entrato in operatività dopo che il progetto iniziale — il Piano A per conquistare Kiev in tre giorni — è catastroficamente fallito. Il Piano B prevede la conquista del Donbas e la contemporanea annessione delle repubbliche autonome di Donetsk e Lugansk (che la Russia controlla de facto dal 2014).
Questo, dovrebbe accadere attraverso i referendum farsa con cui i due territori entrerebbero a far parte dell’amministrazione del Cremlino, entrando così sotto la copertura nucleare russa. Ciò dovrebbe aumentare il livello di deterrenza che Mosca riesce a esercitare, scongiurando eventuali volontà di Kiev e dei suoi alleati di una loro possibile riconquista.
Se l’ombrello nucleare è il principale fattore di deterrenza che Putin sta costruendo (anche pensando a una revisione della dottrina), contemporaneamente la Russia continuerà a usare altri elementi per scoraggiare Kiev e soprattutto i suoi partner. È vero infatti che il valore e le capacità ucraine sono l’elemento indiscutibile dietro alla resistenza proattiva dimostrata in questi sette mesi di guerra, ma l’assistenza occidentale — sia politico-diplomatica che militare — ha fatto la differenza tecnica e morale.
Mosca vorrebbe tagliare queste connessioni, perché farlo renderebbe più facile una vittoria — qualsiasi cosa essa significhi, con l’ambiguità del Cremlino che è frutto di una strategia del non rivelare le proprie volontà completamente, ma anche di una necessità tattica di adattare quelle volontà alle evoluzioni per non uscire perdente.
L’uso di operazioni ibride è parte del playbook russo contro il sostegno occidentale (qui leggasi europeo) all’Ucraina. Colpire il mercato energetico è uno degli asset operativi in cima alla lista. Quanto successo al Nord Stream, gli impedimenti prima e i successivi sabotaggi, sono un esempio. Chiudere il gas all’Europa è parte dei piano di Putin per far pagare ai paesi dell’Ue il sostegno all’Ucraina, e cercherà di vincere questa guerra per ottenere come risultato l’allenamento di quel sostegno. Gazprom, il gigante energetico russo, ha annunciato oggi, mercoledì 28 settembre, l’interruzione di tutto il flusso di gas all’Europa che passa dall’Ucraina. È un gesto anche simbolico che significa, il messaggio è chiaro: state pagando il legame con Kiev.
Riuscirà Putin nel suo intento? Dipende da quanto i Paesi europei sono riusciti ad accaparrarsi in questi mesi di ricerca scalmanata di fornitori e forniture per sganciarsi dalla dipendenza russa. L’Italia, su questo, sembra essere piuttosto avanti.
Putin crede che colpendo l’Europa riuscirà a creare pressione sull’Ucraina e valuta che quello è l’anello debole del sostegno a Kiev. Ritiene che l’amministrazione Zelensky sia totalmente dipendente dall’Occidente anche nelle sue decisioni. Ma nella realtà il presidente ucraino deve rispondere ai suoi cittadini, i quali chiedono di continuare la guerra di liberazione. Dunque c’è poco spazio: anche ammesso che la leadership ucraina volesse trattare, cosa che comunque non vuole adesso.
Stante questo, è del tutto probabile che sia l’Ue che gli Usa continueranno ad aiutare l’Ucraina, perché quest’assistenza tutto sommato è possibile e relativamente impegnativa. A Putin toccherà prima o poi affrontare questa realtà, e ciò potrebbe significare un aumento dell’impegno russo. Ossia un aumento della potenza di attacco, perché per la narrazione putiniana è impossibile accettare una sconfitta (anche per questioni di tenuta nei confronti della cittadinanza).
C’è la possibilità di usare le armi nucleari, in parti dell’Ucraina non interessate dal controllo russo, che è sempre sul tavolo. Quello di Putin non è un bluff, e il suo regime ha le capacità di far assorbire (con la propaganda o con la forza della repressione) un’eventuale decisone del genere alla popolazione. O quanto meno ha la necessità di provare a forzare la mano, in un all-in estremo, se dovesse servire come unica opzione rimasta (nessuno può conoscere cosa pensa Putin).