Le truppe russe sono demotivate. Non vogliono combattere e anche per questo l’offensiva in Ucraina è in difficoltà. E intanto Kadyrov manda un messaggio a Mosca
Tra le difficoltà russe vi è anche la demotivazione delle truppe. Una difficoltà in più in questa fase in cui la controffensiva ucraina — anche spinta dall’arrivo di nuovi e più funzionali armamenti inviati da Stati Uniti (soprattutto) e Unione Europea — procede in aree nevralgiche come Kherson, nel sud.
Le forze russe stanno soffrendo “problematiche legate al morale e alla disciplina”, oltre alla stanchezza e alle numerose perdite, specifica l’ultimo rapporto di intelligence del ministero della Difesa britannico. Una delle questioni più problematiche continua a essere quella delle paghe, compresi i bonus promessi, secondo le fonti britanniche.
Il documento — con cui Londra rende pubbliche informazioni raccolte dai servizi segreti anche con l’obiettivo di innescare pressioni psicologiche contro Mosca — cita anche la corruzione diffusa tra i comandanti e “l’inefficiente burocrazia militare”. Niente di nuovo.
Le difficoltà incontrate dal 24 febbraio a oggi si legano a questa concatenazione dì complessità. I russi non credevano di trovare resistenza adeguata, opposta invece dagli ucraini grazie al sacrificio patriottico assistito dalle tecnologie militari offerte dagli alleati occidentali. Davanti a questo i generali russi hanno dimostrato la loro scarsa preparazione al combattimento (anche per colpa di una catena di comando non aggiornata e carente dei ruoli cruciali dei sottufficiali). Le carenze della leadership si sono abbattute sulle truppe, scarsamente motivate e mal preparate, senza una guida adeguata sono subito entrate in stallo.
Difficoltà da cui faticano a uscire a quasi sette mesi dall’inizio dell’invasione russa. Se è vero che i report inglesi tendono a evidenziare le falle russe, è altrettanto vero che queste sono una realtà resa evidente da diverse testimonianze e informazioni costantemente uscire durante tutto il conflitto.
Che il quadro interno sia tormentato è testimoniato anche dalle dichiarazioni velenose uscite dalla bocca di Ramzan Kadyrov, il leader ceceno che comanda alcune delle unità più attive tra quelle movimentate dal Cremlino. In un video postato su Telegram, Kadyrov, ha detto di essersi “reso conto di essere rimasto seduto per molto tempo” a occupare la sua posizione di potere e che ora “è giunto il momento” di lasciare.
Affermazioni del tutto inattese e riportate dai principali media russi non senza preoccupazioni. Sono un altro segnale di fatica, forse pretendeva ruoli più centrali (a Mosca?) dopo essersi speso in prima persona e aver portato a spendersi il suo popolo al fianco di Vladimir Putin (a cui deve moltissimo, è vero).
“Oggi ho scoperto di essere, in effetti, il capo in carica ‘più longevo’ all’interno della Federazione Russa. Dirigo già la repubblica da 15 anni. Penso che sia venuta la mia ora prima che gli altri mi caccino via”. Ha aggiunto, con una richiesta: “Spero che mi sosterrete e mi capirete”.
La posizione potrebbe indicare anche altre problematiche: il Cremlino ha movimentato diverse risorse appartenenti alle minoranze etniche, affidando a queste anche ruoli difficili. Il rischio è che queste minoranze inizino a sentirsi sfruttate, usate come carne da cannone, e non adeguatamente ricompensate (e non solo in termini economici).
Le perdite russe sono alte, e molte appartengono a gruppi etnici come i ceceni. A meno che non si tratti di un bluff (non ci sarebbe da stupirsi), l’annuncio di Kadyrov — che si è rivolto alla sua collettività — potrebbe essere un segnale e un messaggio per Mosca.