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Dalle urne uscirà la chimera della governabilità? Il mosaico di Fusi

Il sistema politico non riesce più a stare al passo delle trasformazioni del mondo: se va bene le insegue; se va male ne viene travolto. Il 26 settembre il problema si riproporrà. L’Italia ha bisogno di essere governata, di una guida stabile e duratura, di una bussola programmatica accompagnata da una leadership riconosciuta. Purtroppo nessuna di queste condizioni sembra garantita

Il tempo delle parole è finito. Ora tocca agli elettori, il cui voto solo uno spasmo di supponenza illuminista può considerare “a volte” sbagliato. Il sistema democratico ha molti difetti ma è imperniato sul suffragio universale: i partiti hanno il dovere di presentare proposte e raccogliere candidature; i cittadini di giudicare le une e gli altri. L’alternanza al potere è l’altro caposaldo del sistema: quando i votanti si schierano da una parte la loro decisione va accettata e rispettata. I  vincitori devono restare nell’alveo delle regole condivise, senza tentare soprusi o colpi di mano. L’opposizione deve intestarsi il ruolo di pungolo riconoscendo a chi ha prevalso il diritto di attuare le proprie indicazioni. Sono principi che valgono per tutti, attori interni o esterni.

Tutto questo per dire che il voto è sempre espressione della sovranità popolare, sia quando piace sia in caso contrario. La destra è data vincitrice dai sondaggi, la sinistra perdente, il Ms5 in forte recupero, il Terzo Polo possibile novità. Domenica notte lo sapremo. Ma qualunque sia il responso delle urne il problema resta lo stesso: la governabilità di un Paese deluso, impaurito, rissoso. Da almeno trent’anni, da quando le forze politiche forgiatesi nel Dopoguerra sono state spazzate via dal ciclone di Tangentopoli – e ci sono milioni di votanti che quella stagione non hanno vissuto e perciò solo all’avvicendarsi sulle montagne russe di alleanze inevitabilmente destinate allo sfarinamento hanno assistito – gli italiani sono rimasti intrappolati in una specie di supplizio di Tantalo, e la mela della stabilità governativa è schizzata via ogni volta che sembrava avvicinarsi.

A coglierla non ci è riuscito nessuno, in qualunque combinazione politica e all’ombra di qualsivoglia leadership. A palazzo Chigi si sono avvicendate figure di vario spessore e credibilità, da Prodi a Berlusconi, a Letta, a Renzi. Poi sono arrivati i tecnici, di alto profilo e assai minore popolarità. Il bilancio non è esaltante, e le qualità personali, elemento pure tutt’altro che indifferente, c’entrano fino ad un certo punto.

La realtà è che il sistema politico non riesce più a stare al passo delle trasformazioni del mondo: se va bene le insegue; se va male ne viene travolto. Il 26 settembre il problema si riproporrà in tutta la sua drammaticità. L’Italia ha bisogno di essere governata, necessita di una guida stabile e duratura, di una bussola programmatica chiara e credibile accompagnata da una leadership riconosciuta. Purtroppo nessuna di queste condizioni sembra garantita. E questo perché il sistema si è retto su alleanze o coalizioni elettorali buone per acchiappare voti ma incapaci di coesione e linearità di indirizzo.

La spiegazione, almeno la principale, della disaffezione e dell’astensione sta qui. Ormai da tempo il partito del non voto è il più grande di tutti e nelle tornate amministrative spesso supera la maggioranza assoluta. La capacità indignatoria dei capi-partito è enorme; gli interventi per mutare la situazione, sostanzialmente inesistenti. L’articolo 49 della Costituzione sta lì e non viene attuato da 70 anni; alla loro progressiva crisi le forze politiche hanno reagito roteando meccanismi elettorali tutti con la medesima caratteristica: togliere agli elettori la possibilità di scegliersi gli eletti. Poi sono arrivati i populisti intrisi di demagogia: ed è andata pure peggio.

Anche questa campagna elettorale non si è discostata dal registro di quelle che l’hanno preceduta. Rifugiarsi nell’anatema “è la più brutta di sempre” è solo un modo per sfuggire alle responsabilità, un riflesso condizionato di ipocrisia. Governabilità vo cercando sarà il refrain che da lunedì mattina salirà dai corridoi del Palazzo per diventare un coro esagitato non appena i voti saranno stati contati e i rapporti di forza definiti.

I numeri saranno importanti, a partire dalla possibilità che uno degli schieramenti ottenga la maggioranza assoluta. Ma non esclusivi. Conterà soprattuto la capacità di muoversi all’unisono, con la necessaria compattezza, della maggioranza frutto dei partiti vincitori. È uno schema da tutti invocato alla stregua di una giaculatoria che ripetuta all’infinito diventa capace di fare il miracolo.

Chi ai miracoli non crede chiede alle forze politiche, sapendo di essere presumibilmente inascoltato, un sussulto di senso di responsabilità e di riguardo per le esigenze dei cittadini. In caso contrario, l’Italia rischia di entrare in una spirale autodistruttiva. Anni e anni fa, a proposito del debito pubblico, il socialista Rino Formica esplose: ”I nostri figli ci malediranno”. Se quel tempo diventa adesso,  le conseguenze saranno devastanti.



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