Gli Stati Uniti tolgono l’embargo a Nicosia. La Turchia protesta contro la decisione di Washington. Nuove tensioni attorno a Cipro
Gli Stati Uniti hanno deciso di revocare l’embargo sulle armi imposto da decenni a Cipro. Il presidente cipriota Nicos Anastasiades ha elogiato la decisione “storica” degli Stati Uniti dopo che da decenni sull’isola del Mediterraneo gravavano misure restrittive statunitensi.
Washington ha imposto la condizione che Nicosia continui a impedire alle navi da guerra russe di entrare nei propri porti. Aspetto che dà la dimensione della partita in ballo — in una fase in cui lo scontro tra Usa e Russia è teso e ampio, collegato all’invasione lanciata da Vladimir Putin in Ucraina.
La decisione americana è stata fermamente condannata dalla Turchia, che occupa e controlla la parte settentrionale dell’isola — dove si trova la Repubblica turca di Cipro del Nord.
L’embargo statunitense era stato imposto per tutto il territorio cipriota nel 1987, sperando che attraverso il blocco delle armi si potessero favorire la riunificazione dell’isola — divisa dall’invasione del nord da parte dell’esercito turco nel 1974 — e implementare un processo di dialogo e pacificazione.
Non è mai accaduto, e il segretario di Stato americano, Antony Blinken, venerdì ha revocato le restrizioni. “Condanniamo fermamente l’ampliamento della portata della decisione presa dagli Stati Uniti nel settembre 2020 di revocare l’embargo sulle armi nei confronti dell’amministrazione greco-cipriota […] Questa decisione, che è in contraddizione con il principio di uguaglianza delle due parti e che rafforzerà ulteriormente l’intransigenza della parte greco-cipriota, influenzerà negativamente gli sforzi per reimpostare la questione di Cipro e porterà a una corsa agli armamenti sull’isola” mettendo in pericolo “pace e stabilità nel Mediterraneo orientale”, si legge nella dichiarazione del ministero della Difesa turco.
Ankara è nervosa. La decisone sull’embargo a Cipro si abbina a una linea non troppo amichevole nei confronti della Turchia presa dal Congresso statunitense. A Capitol Hill sta crescendo la posizione di chi incolpa l’Azerbaigian per ciò che accade nel Nagorno-Karabakh. Per Ankara è una lettura ostile della crisi, perché considera Baku un alleato fraterno e vorrebbe che Washington ne sostenesse maggiormente le istanze.