C’è ancora molta strada da fare per realizzare una Difesa comune europea. Nonostante siano diverse le iniziative implementate a livello Ue per rafforzare le capacità di Difesa nel campo delle acquisizioni militari, presentano ancora diversi limiti. Dall’utilizzo di un modello obsoleto a una miopia strategica, dal numero esiguo di Stati coinvolti al delicato ruolo giocato dalle istituzioni Ue. Ne parla Michele Nones, vicepresidente dell’Istituto affari internazionali (Iai)
Nel Vertice dei capi di Stato e di Governo dell’11 marzo è stato deciso di rafforzare le capacità di difesa europee avviando diverse iniziative. La Commissione europea e l’Alto rappresentante le hanno presentate nella Joint communication on the defence investments gaps analysis and way forward del 18 maggio. Le carenze europee nel campo della Difesa che vengono indicate sono molteplici: finanziarie, industriali, capacitive. Andrebbero, però, considerate anche quelle che sono emerse in questi quindici anni, da quando nel 2006 la Commissione ha cominciato a intervenire in questo settore, e che si possono riassumere in una parola: insufficiente competenza e conoscenza delle Istituzioni europee sulle specifiche e delicate caratteristiche del settore Difesa.
Serve un approccio esperto
La complessità del mondo della Difesa richiede un approccio particolare che può essere garantito solo da personale esperto, molto raro all’interno di una struttura che prima non se ne occupava (a causa delle limitazioni imposte dagli Stati membri) e poi ha cominciato a farlo in punta di piedi (sempre per la stessa ragione), oltretutto perdendo per strada, per via della rotazione dei funzionari, quei pochi che sul campo avevano maturato una certa competenza. Il risultato è spesso emerso in questi anni nella forma delle proposte presentate e, a volte, anche nella loro sostanza dove ha sempre pesato la cultura “civile” della Commissione e un approccio un po’ ideologico che non ha aiutato ad affrontare efficacemente le criticità della Difesa europea.
Nonostante queste premesse stupisce che nella prima iniziativa varata dopo l’attacco russo all’Ucraina, la proposta di una Regulation on establishing the European defence industry reinforcement through common procurement act (Edirpa), vi siano alcuni limiti ed errori che potevano e dovevano essere evitati e a cui ora il Consiglio europeo, coinvolgendo gli Stati membri, dovrà cercare di porre rimedio.
I limiti dell’iniziativa
L’iniziativa dovrebbe consentire un contributo finanziario dell’Unione europea (per ora 500 milioni di euro) per incentivare l’acquisto congiunto da parte degli Stati membri di equipaggiamenti militari destinati a sostituire quelli ceduti all’Ucraina o necessari per rafforzare le dotazioni delle Forze armate europee in modo da poter far fronte meglio a questi “urgent and critical gaps”. Si muove, quindi, esplicitamente su un orizzonte di breve termine e dovrebbe riguardare prodotti già o velocemente disponibili, in primo luogo munizionamento e armamento tradizionale e missilistico, attrezzature e protezioni individuali, ecc.
Il primo limite riguarda il “modello” utilizzato per questo regolamento, quello dell’European defence fund (Edf) del 2021 volto a finanziare i programmi europei di ricerca e sviluppo (a sua volta figlio dei due progetti pilota, Edidp del 2018 per le attività di sviluppo e Padr del 2017 per quelle di ricerca). Avrebbe dovuto, invece, essere impostato ex-novo perché le problematiche della politica della ricerca e dell’innovazione sono per loro natura diverse da quelle dell’acquisizione e, in questo caso, ci si muove su un orizzonte temporale a breve termine quando nell’altro lo si fa sul medio-lungo termine.
Più chiarezza tra breve e medio-lungo termine
Il secondo limite riguarda la confusione tra le acquisizioni a breve termine e quelle a medio-lungo termine. Essendo due tipologie completamente diverse, richiedono regole, procedure, gestioni impostate differentemente. Sono le seconde ad avere un valore strategico sul piano militare, finanziario, tecnologico, industriale e richiedono, quindi, un’attenzione e un approfondimento molto maggiori. Anche solo sostenere che Edirpa aiuterà successivamente la messa a punto del regolamento della seconda prevista iniziativa, l’European defence investment programme (Edip), rappresenta un errore prospettico e rischia di generare confusione. Edirpa deve rimanere limitato alle acquisizioni urgenti e imprevedibili, quindi nel breve periodo. Edip dovrà essere pensato autonomamente, tenendo conto sia della Direttiva 2009/81 sugli acquisti di equipaggiamenti per la Difesa e sicurezza sia dei programmi comuni di ricerca e sviluppo che stiamo realizzando grazie all’Edf e grazie agli accordi bi-multilaterali europei. In altri termini, Edip dovrà favorire un approccio cooperativo più che competitivo se si vuole salvaguardare la cooperazione tecnologica e industriale europea.
Ancora troppo pochi
Il terzo limite è rappresentato dal numero minimo degli Stati membri o associati coinvolti, tre, ovvero lo stesso numero indicato nell’Edf. Ma in quel caso il numero inizialmente proposto era due e c’è voluta una dura battaglia, a cui ha partecipato attivamente l’Italia, per arrivare a quel risultato. Nel campo della ricerca e sviluppo le capacità non sono però presenti in tutti i Paesi (e in alcuni sono limitate a poche aree), mentre l’acquisizione riguarda tutti, soprattutto per i prodotti consumabili. Di qui l’opportunità di alzare l’asticella per spingere in avanti la collaborazione fra gli Stati membri, arrivando a cinque o, per lo meno, prevedendo un meccanismo fortemente incentivante che aumenti significativamente il contributo finanziario europeo in rapporto ai Paesi coinvolti oltre ai primi tre.
Il problema della sovranità tecnologica
Il quarto limite è l’aver inserito il tema della “sovranità tecnologica europea” in un’iniziativa che si muove in un’ottica di breve termine. Ovviamente dovrebbe valere il principio della “preferenza europea”, ma se il prodotto da acquistare non è disponibile nei tempi richiesti o se il suo costo non è ragionevolmente competitivo, che senso ha perdere e far perdere tempo a tutti i soggetti interessati, analizzando il contenuto del programma di acquisizione per verificare fino a che punto la fornitura sia “europea”? Ma anche volendo essere più restrittivi, non si potrebbe accettare una qualche forma di rassicurazione da parte degli Stati membri che hanno un proprio sistema di controllo degli investimenti esteri per sentirsi garantiti sull’affidabilità del fornitore? In ogni caso questa verifica dovrebbe escludere dall’esame la catena dei subfornitori: se il fornitore è in grado di far fronte alla richiesta significa che ha la disponibilità dei componenti necessari o la sicurezza di riceverli (in base ad accordi commerciali e alle relative autorizzazioni governative). E, quindi, perché questo esame, tanto più se l’esigenza è urgente?
Il ruolo della Commissione, delle Istituzioni Ue e degli Stati membri
Il quinto limite riguarda il delicato tema del ruolo della Commissione, delle altre Istituzioni europee e degli Stati Membri. L’approvvigionamento degli equipaggiamenti destinati alle Forze Armate rientra nella competenza di questi ultimi. Ovviamente va valutato il “valore europeo” del programma comune proposto per il finanziamento. Per farlo bisognerebbe coinvolgere chi istituzionalmente ne ha la responsabilità e la competenza, cioè l’Agenzia europea di difesa (Eda). L’Eda dovrebbe, quindi, essere coinvolta direttamente e con un ruolo paritario rispetto alla Commissione. Insieme dovrebbero poi discuterne con gli Stati membri interessati perché sono le loro Forze armate ad avere espresso l’esigenza e sono loro a dover poi utilizzare gli equipaggiamenti. Va, quindi, moderato e condiviso il potere discrezionale attribuito da Edirpa alla Commissione.
Vi è, quindi, molta strada ancora da fare. L’Italia deve continuare ad assicurare il suo contributo per far sì che Edirpa, e le altre future iniziative, aiutino davvero la costruzione di una maggiore coesione europea nella Difesa, nell’interesse di tutti e, di conseguenza, anche del nostro Paese.