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In Ucraina non c’è una bomba sporca ma i droni iraniani

Non ci sono bombe sporche a Kiev, ma ci sono i droni iraniani usati dalla Russia, contro cui l’Ucraina chiede di difendersi (e Zelensky mette pepe nel dibattito elettorale israeliano)

Il ministro della Difesa russa, Sergei Shoigu, ha chiamato ieri, domenica 23 ottobre, al telefono i suoi omologhi negli Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Turchia per comunicare che — secondo informazioni in mano alla Russia — l’Ucraina intende usare una “bomba sporca” sul proprio territorio e incolpare Mosca. Un giro di telefonate simile c’è stato oggi con i capi di Stato maggiore da parte del russo Valery Gerasimov.

Come spesso accade (ed è accaduto in epoca recente in questi casi) il Cremlino non ha fornito alcuna prova e Washington, Parigi e Londra hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che respinge le accuse come “palesemente false”. Sembra di rivivere i periodi in cui i russi accusavano i ribelli siriani di aver gassato i civili di Damasco per incolpare il loro protetto Bashar el Assad: si impegnavano in narrazioni e ricostruzioni fantasiose, ma non fornivano mezza prova credibile.

Era il 2013: questo genere di attività continuano ancora ad attecchire tra parte delle opinioni pubbliche occidentali grazie alle penetrazioni socio-politiche che Mosca continua a portare avanti (anche se adesso certe narrazioni hanno meno appeal di allora, e ormai dovremmo esserne in parte vaccinati)

L’Institute for the Study of War ha avvertito che è in realtà la Russia che potrebbe essere in fase di pianificazione di un’operazione false flag per far saltare una diga idroelettrica nel sud dell’Ucraina e dare la colpa a Kiev. Un simile attacco — un altro colpo alle infrastrutture civili ucraine dopo settimane di assalti russi all’elettricità del Paese — interromperebbe l’approvvigionamento idrico di gran parte della regione, causerebbe devastanti inondazioni intorno a Kherson e minaccerebbe il sistema di raffreddamento della centrale nucleare di Zaporizhzhia.

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha dichiarato ai leader europei che gli esplosivi per distruggere la diga sono già in posizione e ha chiesto una missione internazionale per osservare il sito. Il ministro degli Esteri ucraino ha invece fatto sapere che sia lui che le controparti occidentali bollano ciò che esce da Mosca come una campagna di disinformatja pensata per creare un pretesto per un’operazione russa.

A proposito di informazioni alterate: “L’Iran respinge categoricamente le affermazioni infondate e prive di fondamento secondo cui l’Iran avrebbe trasferito veicoli aerei senza pilota da utilizzare nel conflitto in Ucraina. Tali affermazioni non sono altro che un apparato propagandistico lanciato da alcuni Stati per promuovere la propria agenda politica”, fa sapere l’ambasciata iraniana, che sottolinea come la prerogativa della Repubblica islamica sia la pace e che comunque — pur non essendoci trasferimenti di armi, nonostante i rottami e altre informazioni dicano il contrario — questi non violerebbero comunque i dettami Onu (in particolare la risoluzione Onu 2231 di cui si parla in questo momento, ossia quella dell’accordo sul nucleare Jcpoa).

“Abbiamo anche discusso di ulteriori misure pratiche per rafforzare la difesa aerea dell’Ucraina”, ha detto Dmytro Kuleba, secondo cui il segretario di Stato, Antony Blinken, gli ha risposto che gli Stati Uniti non risparmieranno sforzi a tal fine. È il tema del momento: una migliore difesa aerea non solo serve a proteggere i civili — e infrastrutture come quelle elettriche e idriche — dai raid russi, ma aiuterebbe anche a non far perdere grip alle controffensive in corso.

Come scrive Andrew Kramer sul New York Times, “la guerra in Ucraina è ora combattuta in due arene per lo più separate: sul terreno nel sud e nell’est, dove l’esercito ucraino ha il sopravvento, e nell’aria, dove la Russia sta sparando missili a lungo raggio e dispiegando droni esplosivi di fabbricazione iraniana per paralizzare le infrastrutture elettriche e di riscaldamento delle città ucraine nella speranza di demoralizzare la popolazione”.

Kramer ha raccolto diverse informazioni sulle tattiche ucraine contro i droni iraniani e nel suo reportage racconta che le intercettazioni avvengono con svariate difficoltà. “Non abbiamo una moderna difesa aerea”, ha detto Zelensky in un messaggio speciale alla Democracy Conference organizzata dal quotidiano israeliano Haaretz. Il presidente ha detto che la Russia ha usato 4500 missili contro l’Ucraina e aggiunto che mentre “il loro arsenale sta diminuendo […] hanno trovato armi a buon mercato in Iran.”

“L’alleanza Russia-Iran non sarebbe avvenuta se i leader israeliani avessero accettato di aiutare a proteggere i nostri cieli”, ha aggiunto Zelensky. Queste dichiarazioni sono tattiche. Nei giorni scorsi, dopo che il governo Lapid aveva messo in chiaro che Israele avrebbe fornito know how ma non armamenti a Kiev, l’ex premier Benajamin Netanyahu ha affermato che se dopo le imminenti elezioni dovesse tornare a guidare l’esecutivo potrebbe rivedere certe posizioni.

È chiaro che potrebbe essere un lancio da campagna elettorale, in cui — velato dal condizionale — trova modo di avvicinarsi a Europa e Stati Uniti, due alleati dove non è super apprezzato (soprattutto dalla Washington dell’amministrazione Biden). È altrettanto vero che però qualcosa potrebbe cambiare tra Russia e Israele. Se aiutare Kiev significherebbe rompere con Mosca (che ha già mandato un messaggio di avviso su questo), e se non rompere con Mosca serve a Gerusalemme a mantenere i propri interessi sul quadrante siriano, è proprio lì che occorre guardare per eventuali sviluppi.

Secondo le dichiarazioni fornite da alcuni funzionari della Difesa israeliana ai media locali, l’esercito israeliano ha distrutto circa il 90% delle infrastrutture militari iraniane e i tentativi di radicarsi — con Hezbollah — in Siria. Ossia, la campagna che va avanti dal 2013 per obliterare il traffico di armi (e influenza) costruito dai Pasdaran tra Siria, Iraq e Libano ha dato risultati eccezionali. Israele è riuscito a limitare quasi completamente la capacità dell’Iran di trasferire armi in Siria, di produrre armi sul suolo del Paese e di stabilirvi una base con forze filo-iraniane.

Il piano, pensato dall’ex comandante della Forza Quds iraniana, Qassem Soleimani (ucciso dagli americani nel 2020 a Baghdad), è fallito a causa della continua campagna aerea dell’IDF contro le forze in Siria. L’ultimo presunto attacco attribuito a Israele in Siria risale a venerdì scorso, quando i media locali hanno riferito che è stato colpito un capannone nei pressi dell’aeroporto di Damasco.

Secondo informazioni non confermabili, quell’impianto era del CERS — il Centre D’Etudes et de Recherches Scientifiques di Masyaf — utilizzato dall’Iran per produrre missili e armi avanzate per i suoi proxy, e coinvolto nella produzione/assemblaggio di droni iraniani identici a quelli usati dalla Russia per colpire le città ucraine.

Questa attività israeliana in Siria è possibile grazie a un meccanismo di deconfliction per prevenire gli attriti russo-israeliani. La Russia controlla i cieli siriani per via del dispiegamento militare con cui ha fornito aiuto al regime assadista. Tutto si basa su un’intesa diretta tra Netanyahu e Vladimir Putin, in cui gli israeliani non interferiscono con le attività russe in Siria e i russi chiudono un occhio quando i caccia di Israele colpiscono gli interessi dell’Iran sul territorio siriano (la realpolitik potrebbe spiegare bene che non importa se Teheran e Mosca sono sullo stesso lato in Siria davanti a interessi superiori).

Ora succede che mentre il 90% del lavoro contro l’Iran pare fatto, la Russia ha anche ritirato una buona parte delle sue forze dalla Siria per far fronte alle necessità di combattere in Ucraina. Questa doppia situazione potrebbe essere la base tecnica per modifiche allo status quo russo-israeliani, mentre la necessità che da Washington viene sottolineata di scegliere un lato del fronte ucraino — perché significa scegliere un lato nel corso della storia, come racconta la vicenda con i sauditi e l’Opec — potrebbe essere alla base delle ragioni che portano Netanyahu a certi annunci rocamboleschi. Che per ora tali restano ed è molto difficile che saranno implementati.


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