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Comunque vada il Congresso, su Taiwan nessuna apertura

Di Oriana Skylar Mastro

Oggi già alcuni segnali confermano che la posizione della Repubblica Popolare sarà più aggressiva. In ogni caso, dopo il Congresso sarà sempre più esplicito che o Taiwan negozierà con i cinesi oppure sarà la Cina stessa a decidere per l’isola. L’analisi di Oriana Skylar Mastro, center fellow presso il Freeman Spogli institute for International studies dell’Università di Stanford

Il XX Congresso del Partito comunista cinese è sicuramente una data importante per la leadership della Repubblica Popolare. Oggi Xi Jinping preferisce guardare al proprio interno, ragionando sulla politica interna e di difesa. Per quanto riguarda Taiwan, gli eventi di questa estate anche se hanno scosso i cieli e i mari intorno all’isola, non sembrano in realtà aver implicato un cambio troppo drastico nell’impostazione cinese.

In effetti, un aumento della conflittualità tra Taipei e Pechino oggi è un rischio ancora troppo alto per il presidente cinese. A mio avviso la Cina continuerà, coerentemente con la propria impostazione, ad assumere una posizione attendista, continuando quindi a rafforzarsi militarmente e aumentando le esercitazioni di alto livello come sta facendo nell’ultimo periodo e come si prevede che continuerà a fare anche dopo il Congresso del partito.

La Cina ha sempre considerato nella propria strategia la possibilità di usare la coercizione nei confronti di Taiwan, la timeline per l’uso della forza è sempre stata tra i quattro e cinque anni. Detto questo, la tabella di marcia è data dalla prontezza militare. Si può quindi pensare che l’intenzione cinese di fare sempre più esercitazioni militari coincida con la possibilità che il Paese sia pronto per un eventuale attacco ma, a livello generale, si può affermare che l’attitudine cinese sulla questione oggi non sia cambiata.

La prova del XX Congresso è certamente un punto di svolta per la politica di Xi nei riguardi dell’isola di Taiwan. Bisognerà comunque aspettare che si tenga in ottobre per valutare se, una volta consolidata la propria posizione, il presidente delibererà per un cambio ufficiale nella postura verso Taiwan. Oggi alcuni segnali ci sono e trovano fondamento nel white paper pubblicato dai vertici cinesi e uscito lo scorso agosto, dove si conferma che la postura della Repubblica Popolare sull’isola sarà più aggressiva.

In questo contesto sarà poi interessante valutare se la Cina accetterà di ridefinire la propria posizione sul tema della riunificazione oppure se rinuncerà alla One China policy. Su questo, la mia previsione è che da novembre in poi sarà sempre più esplicito che o Taiwan negozierà con i cinesi (e in quale maniera? Che forma assumerà il principio dei due sistemi, un Paese?) oppure sarà la Cina stessa a decidere per l’isola.

Ovviamente, nel caso, quest’ultima opzione non sarà positiva. Quindi sicuramente i cinesi continueranno a essere assertivi, ma altrettanto certamente cercheranno di portare l’isola a negoziare senza che questo comporti uno scontro aperto. Dal punto di vista delle strategie che si contrappongono nell’indo-pacifico, quella statunitense rimarrà nel solco tracciato dall’ambiguità strategica.

Come già scritto sulle colonne del New York Times, la cosiddetta strategic clarity è molto rischiosa. Spero vivamente che i vertici Usa non decidano mai di intraprenderla. Il presidente Biden potrebbe in questo periodo comunque continuare a fare dichiarazioni forti sulla propria volontà di difendere Taiwan. In generale, lo scenario che gli Stati Uniti si trovano a fronteggiare nel confronto con la Cina è davvero unico e questo anche perché Pechino continua a intrattenere legami stretti con gli stessi alleati e partner di Washington.

Nel 2021 il Paese è stato uno dei partner commerciali di riferimento di oltre 120 Paesi, inclusi tutti gli alleati degli Stati Uniti nell’indo-pacifico. Vi è infatti una forte relazione che lega a livello economico diversi Stati alla Cina e questo vale per la Corea del Sud, non invece per l’India che gravita meno nell’orbita di Pechino. La Corea, per esempio, potrebbe fare qualcosa per supportare la strategia americana nell’indo-pacifico e per sostenere l’isola di Taiwan, ma il concetto di base è che questi Stati non si sbilanciano verso un sostegno alla causa di Taipei per timore di ripercussioni economiche o militari.

Tra le funzioni che gli Stati regionali potrebbero assumere per coadiuvare la forza statunitense nell’area vi sarebbe per esempio la garanzia dell’accesso ai contingenti americani sul territorio oppure una postura in termini economici e politici affine a quella Usa. In conclusione, ritengo che non si tratti solo di consolidare una cooperazione di tipo militare, dato che la sfida cinese è ampia ed è fatta di molte sfaccettature. Sulla strategia da adottare nell’indo-pacifico è urgente domandarsi come potremo cooperare anche su una più ampia serie di temi.



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