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La verità (nascosta) sull’economia cinese che fa paura a Xi

A pochi giorni dall’apertura del Congresso del partito comunista che sancirà con ogni probabilità la rielezione del leader cinese alla guida del Dragone, le autorità nazionali chiedono alle grandi banche americane di smetterla con report e analisi che mettono in luce i gravi problemi dell’economia della Repubblica popolare

Anche l’incrollabile leader cinese, a un passo dal terzo mandato alla guida del Dragone (il prossimo 16 ottobre si aprirà il XX Congresso del partito comunista), deve aver sviluppato un certo timore per report e analisi che con cadenza periodica raccontano tutta la fragilità intrinseca alla seconda economia globale. Che la finanza occidentale si sia da tempo accorta degli enormi guai cinesi è noto: mattone, banche, debito, sono le tre parole che riassumono e sintetizzano l’agonia di un sistema che quest’anno, cifre della Banca mondiale, crescerà solo del 2,8%, dopo la cavalcata (+8,1% di Pil) del 2021, a questo punto quanto meno sospetta.

Ora che però il Congresso del partito si avvicina, Xi Jinping ne ha abbastanza dei fari accesi sull’economia del Dragone da squadroni di analisti, per lo più in forza alle grandi banche occidentali. Basta fare le pulci alla Cina, il gran capo della Repubblica Popolare vorrebbe arrivare tranquillo e sereno all’appuntamento con la rielezione. Per questo, come ha raccontato il Wall Street Journal, le autorità di regolamentazione cinesi hanno chiesto alle principali banche statunitensi, come Goldman Sachs e Jp Morgan, di evitare di pubblicare ricerche politicamente sensibili prima del congresso nazionale. Una vera e propria supplica per impedire la caduta di nuove tegole sulla testa del leader cinese, come se le reali condizioni economiche e finanziarie dell’ex Celeste Impero fosse ignote a i più.

Una richiesta, negata dalla Securities Regulatory Commission cinese, che arriva peraltro in un momento molto delicato per la Cina, anche dal punto di vista sociale e nel bel mezzo del crescente malcontento pubblico sulla gestione dell’economia da parte di Pechino”, ha scritto il quotidiano americano. Sono ancora vive negli occhi di molti osservatori, per esempio, le immagini delle migliaia di cittadini disperati per le strade per aver visto i propri risparmi congelati dalle banche periferiche, a causa di una crisi di liquidità esplosa nelle remote province del Dragone.

E poi c’è da dire che l’attenzione delle grandi banche statunitensi e dei rispettivi team di ricerca e analisi è stata spasmodica nei confronti della Cina. Poche settimane fa, tanto per dirne una, gli esperti di Jp Morgan hanno analizzato argomenti quali i danni che il mercato immobiliare cinese sta causando all’economia reale.

Una di queste ricerche ha analizzato la possibilità che una delle rivolte scoppiate in Cina (c’è anche chi ha smesso di pagare il mutuo per protesta contro le stesse banche accusate di aver trattenuto i depositi dei correntisti) possa dare vita a una crisi sistemica in stile Lehman Brothers, con riferimento al crollo della banca d’investimento nel 2008 e al conseguente pandemonio scatenato sui mercati finanziari statunitensi.  Insomma, gli scheletri nell’armadio non mancano ma per Pechino non è il momento di tirarli fuori.

(Photo by Krzysztof Kotkowicz on Unsplash)

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