Tra i Conservatives è chiara la percezione di come ora questo sia l’ultimo appello, dopo ci sarebbero soltanto le elezioni generali. Tale consapevolezza potrebbe portare alla ricerca di una soluzione condivisa, di equilibrio tra le diverse posizioni, e a un programma che l’intero mondo Conservative possa sostenere coeso alla prova dei fatti
Difficile immaginare cosa possano aver pensato i parlamentari Conservatives quando si sono trovati a doversi interrogare sul futuro di Liz Truss soltanto poche settimane dopo il suo incarico a premier e fino all’epilogo delle sue dimissioni.
Eppure il crollo della sterlina e il repentino aumento del costo per gli interessi sui titoli di Stato, conseguenze dell’annuncio fatto dal nuovo governo di voler procedere con il programma di tagli alle tasse, a debito, e senza avere prima l’avallo dell’Office for Budget Responsability, hanno subito messo fortemente in discussione l’intero programma di politica economica del governo e messo in crisi la, ormai ex, neo-premier.
Le misure annunciate da Liz Truss, di concerto con l’ex Cancelliere dello Scacchiere Kwasi Kwarteng, prevedevano di ridurre dal 45% al 40% l’aliquota più alta per le imposte sui redditi, la riduzione dal 20% al 19% dell’aliquota sui redditi più bassi, di bloccare l’incremento dal 19% al 25% previsto per l’aliquota sulle società, di bloccare l’incremento previsto per il contributo alla previdenza sociale e di non prevedere incrementi per il contributo al sistema sanitario, realizzando inoltre un intervento per calmierare l’incremento del costo delle bollette energetiche.
La soluzione che è stata in un primo momento trovata constava nell’avvicendamento nell’incarico di Cancelliere dello Scacchiere tra Kwasi Kwarteng e Jeremy Hunt e nell’annuncio di una marcia indietro rispetto al taglio delle tasse e di un più ridotto intervento sul costo delle bollette energetiche.
L’incarico a Hunt, già ministro nel governo di Theresa May, e sostenitore di Rishi Sunak proprio contro Liz Truss nella corsa alla premiership, aveva l’obiettivo di compattare i Conservatives in questo delicato momento, mentre l’opposizione del Labour chiede di tornare alle urne.
Non è stato sufficiente ad evitare le dimissioni di Liz Truss.
Ma è proprio questo il tema. Il governo Johnson era caduto non per la censura ad alcuni suoi comportamenti, ma per l’emergere di una divergenza all’interno dei Conservatives tra la visione di politica economica dello stesso Johnson, che spingeva per politiche espansive di tagli alle tasse e maggiori benefit sociali, e la politica focalizzata sul contenimento dell’inflazione rappresentata da Rishi Sunak prima nel governo e poi nella corsa alla leadership del partito e quindi alla premiership.
Liz Truss con una campagna elettorale attestata su posizioni simili a quelle del premier uscente aveva convinto la maggioranza del proprio partito, ma, una volta che da premier ha annunciato modalità e tempistiche con cui voleva realizzare il proprio programma economico, è stata messa in discussione dalla reazione degli operatori sui mercati finanziari, che ne hanno bocciato le misure ritenendole in questo momento tutte insieme non sostenibili, e dalle conseguenze che questo ha avuto su sterlina e titoli di Stato. E la fronda tra i Conservatives ha fatto il resto.
Adesso si riapre la corsa alla successione, con Rishi Sunak che sembrerebbe favorito, e certamente si riaprirà il dibattito tra due diverse visioni di politica economica e di futuro del Regno Unito.
A rendere ancora più evidente questo confronto, poteva essere il ritorno sulla scena di Boris Johnson, di cui si vociferava in queste ore.
Ma tra i Conservatives è chiara la percezione di come questo sia l’ultimo appello, dopo ci sarebbero soltanto le elezioni generali. Questa consapevolezza potrebbe portare alla ricerca di una soluzione condivisa, di equilibrio tra le diverse posizioni, e a un programma che l’intero mondo Conservative possa sostenere coeso alla prova dei fatti.
Ai prossimi giorni l’arduo verdetto.
Questa situazione, certamente delicata e ancora in evoluzione, apre però a due ulteriori riflessioni.
La prima attiene al quadro geo-economico. Le forti spinte inflazionistiche sul costo delle materie prime, ora anche alimentari, e sull’energia, avviate già a fine 2021 e poi fortemente aggravate dalla guerra in Ucraina, non senza una dose di speculazione, rappresentano un tema che oggi irrompe nelle scelte di politica economica non soltanto del Regno Unito ma di tutti i principali Paesi europei e non solo, stretti tra la necessità di non interrompere la crescita e non portare in recessione l’economia già fortemente provata dalle restrizioni dovute alla pandemia da Covid-19, l’esigenza di salvaguardare il potere di acquisto di famiglie e imprese dall’inflazione, e l’attenzione alla sostenibilità dei conti pubblici. Trovare il giusto equilibrio in questa dinamica rappresenta oggi una sfida e una necessità per ogni governo.
La seconda riflessione rimanda all’Unione Europea. Tutti i principali osservatori avevano sottolineato come il Regno Unito avesse dovuto affrontare la crisi economica correlata alla pandemia da Covid-19 potendo contare, per effetto di Brexit, soltanto sulle proprie forze, proprio in un momento in cui l’Ue aveva segnato un profondo cambio di passo rispetto, ad esempio, al modo in cui aveva affrontato la crisi dei debiti sovrani. Il Next Generation Eu aveva infatti determinato un positivo ed efficace meccanismo in grado di generare solidarietà tra gli Stati Membri e una maggiore coesione decisionale e di bilancio. La crisi attuale non ha invece ancora visto questa risposta unitaria da parte dell’Ue, che ne sta studiando possibilità e modalità, e la capacità di rispondere in tempi rapidi, per aiutare famiglie e imprese in difficoltà, seguendo gli stessi principi di solidarietà e coesione che portarono al Next Generation Ue, rappresenta oggi una sfida più che primaria per l’Unione.
Le prossime settimane saranno, e non solo per il Regno Unito, determinanti.