L’azienda di sicurezza cinese elencava il tracciamento “smart” di “razza”, “colore della pelle” e caratteristiche facciali di minoranze etniche tra le capacità dei propri prodotti. Si tratta della stessa compagnia, che opera anche in Italia, scelta dall’ex premier Conte per installare i termoscanner di Palazzo Chigi
Se servisse una scusa per interessarsi delle differenze tra democrazie digitali e tecno-autocrazie, Pechino potrebbe averne fornita un’altra. Un’inchiesta del sito specialistico IPVM ha rilevato che alcuni modelli commerciali di telecamere prodotte da Dahua Technology – azienda cinese leader nella manifattura di prodotti di sorveglianza – sarebbero in grado di classificare le persone secondo attributi facciali come “razza”, “colore della pelle” e persino “Xinjiang/Tibet”. Vale a dire, la fisionomia di minoranze etniche.
Non è un mistero che il partito-Stato mantenga un gigantesco impianto di sorveglianza di massa, sia nel mondo virtuale che in quello reale. In questo campo, l’implementazione dell’intelligenza artificiale ha permesso di estendere la portata delle operazioni di tracciamento in tempo reale. L’inchiesta di IPVM conferma che Pechino possiede quantomeno la capacità di tracciare le alcune minoranze, tra cui quella uigura nello Xinjiang e la popolazione tibetana, calibrando i propri strumenti sulle loro caratteristiche facciali.
Queste “funzionalità smart” delle telecamere in questione erano specificate, in chiaro, nella descrizione dei prodotti sul sito di Dahua. Che da parte sua ne ha ammesso la veridicità ma “ha affermato che erano obsolete” e ringraziato IPVM per “aver segnalato questo errore”. La compagnia cinese ha spiegato alla testata specialistica che quei prodotti non erano stati sviluppati “per uso commerciale” nonostante le stesse pagine recitassero il contrario.
È la terza volta che IPVM scopre delle funzionalità del genere nei prodotti Dahua, spiegano gli analisti del sito. Prima si trattava di “avvertenze uiguri” basate sui server dell’azienda, poi di un kit di sviluppo software che offriva il tracciamento della stessa minoranza etnica cinese. Dahua e Hikvision, l’altro grande leader del settore, sono state sanzionate dal governo statunitense nel 2019 per “il loro coinvolgimento in violazioni dei diritti umani e abusi nell’implementazione della campagna di repressione della Cina” ai danni di uiguri, kazaki e altre minoranze musulmane.
Entrambi i marchi sono ancora disponibili – e largamente diffusi – sul suolo italiano, anche nelle strutture più sensibili. Secondo quanto ricostruito da Wired, sono almeno 2.430 gli impianti di sorveglianza targati Hikvision e Dahua acquistati dalle pubbliche amministrazioni, dai piccoli Comuni fino a Palazzo Chigi.
Ad aprile dell’anno scorso, alcuni senatori della Lega aveva depositato un’interrogazione parlamentare chiedendo conto della decisione presa pochi mesi prima dal governo presieduto da Giuseppe Conte di incaricare Dahua Technology, divisione italiana del gruppo cinese, di installare i propri termoscanner presso Palazzo Chigi. Una scelta che l’azienda aveva messo in bella mostra sul proprio sito Internet con una nota: “Ben 19 terminali per il controllo accessi con rilevamento termografico ASI7223X-A-T1, collocati direttamente sui tornelli, effettuano in automatico uno screening preventivo della temperatura cutanea di ministri della Repubblica, funzionari, personale e visitatori in modo rapido, preciso e senza alcun contatto, rilevando chi non indossa la mascherina e subordinando l’accesso al rispetto delle soglie configurate”. Non solo: i terminali “offrono inoltre la funzione di riconoscimento facciale – con la possibilità di registrare i volti in liste VIP, l’integrazione con i sistemi di rilevamento termografico tramite telecamere termiche ibride e blackbody, e la massima flessibilità potendo essere montati a parete, su un ripiano, su una piantana da pavimento o, come in questo caso, su un tornello (sia di manifattura Dahua che di terze parti)”.
L’amministrazione Biden ha rafforzato l’approccio di quella Trump sul confronto con la Cina in ambito tecnologico. In ballo ci sono questioni economiche, certo. Ma soprattutto di sicurezza nazionale, specie tra Paesi alleati nella Nato.
Un altro dossier scottante sul tavolo del prossimo governo italiano, assieme a quello sul 5G. Nelle ultime ore, il senatore Enrico Borghi, responsabile sicurezza del Partito democratico, ha ricordato il lavoro fatto dal Copasir nella precedente legislatura (di cui è stato membro), con l’invito al governo a vietare le vendite di apparecchiature per telecomunicazioni delle società cinesi Huawei e Zte per motivi di sicurezza nazionale.
(Foto: www.dahuasecurity.com)