Destra=conservazione, un’equazione da spezzare. La premier dovrà governare il cambiamento che accompagna la trasformazione delle società, occidentali e non solo. Un cambiamento che è in parte indotto e obbligato dalla guerra in corso tra Russia e Ucraina e che costringerà a rivedere ancoraggi geopolitici, priorità d’azione e perfino comportamenti dei cittadini. La rubrica di Carlo Fusi
Tra i tanti elementi che hanno accompagnato l’analisi delle dichiarazioni programmatiche del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, un dato è stato trascurato. Quello che impegna il neo premier a spezzare l’equazione destra=conservazione.
È di tutta evidenza infatti che Meloni dovrà agire al contrario, dovrà cioè governare il cambiamento che accompagna la trasformazione delle società, occidentali e non solo. Un cambiamento che è in parte indotto e obbligato dalla guerra in corso tra Russia e Ucraina, conflitto di cui non si vede purtroppo ancora la fine, e che costringerà a rivedere ancoraggi geopolitici, priorità d’azione e perfino comportamenti dei cittadini.
Ma che poi si allarga a tutti i segmenti sociali e a tutte le materie cosiddette “sensibili”: dal fisco all’immigrazione; dalla giustizia alla salute. La direzione di questo cambiamento, è vero, non è ancora del tutto chiarita. Meloni ha spiegato che vuole “ribaltare i pronostici” che assegnano al suo governo pochi mesi di vita così come escludevano una vittoria così schiacciante prima dell’apertura delle urne. Però una cosa è voler ribaltare l’inerzia di un percorso politico che ha visto la Destra in Italia perennemente in posizioni marginali – a volte auto-assegnatasi – e che lo sforzo culturale e politico di Gianfranco Fini con la nascita di An aveva già a suo tempo provato a modificare. Altra è misurarsi con le sfide che attraversano il pianeta sia in senso geo-politico sia in senso programmatico che ideale per non dire ideologico.
È un banco di prova che a ben vedere determinerà non solo il successo dell’esperienza governativa di Giorgia Meloni ma che impregnerà di per sé l’intera coalizione che per comodità continuiamo a chiamare di centrodestra. Se infatti il cambiamento verrà cavalcato e in che termini, e se soprattutto andrà incontro alle aspettative dei cittadini, allora quel segmento sociale che ha fatto vincere Meloni e compagni diventerà egemone. Altrimenti finirà nel cestito dei tentativi falliti, dei tanti “vorrei ma non posso” che hanno contraddistinto il mondo politico negli ultimi decenni.
C’è da dire che in questo suo sforzo Meloni è aiutata dal mainstream che accompagna l’attuale fase politico-istituzionale-sociale. In altri termini è da tempo che la sinistra viene vissuta (e in buona parte si comporta) come il partito della difesa dello status quo, dell’arroccamento a tutela degli strati sociali – dai pensionati al pubblico impiego alla scuola – che la votano e da essa pretendono garanzie di mantenere l’attuale condizione economico-sociale.
È un fenomeno che ha portato le periferie ad abbandonare la sinistra per rivolgersi ad altri: ieri i Cinquestelle oggi FdI, lasciandole lo spazio delle Ztl. Come pure ha spinto il cosiddetto popolo delle partite Iva, cioè quel vasto mondo soprattutto giovanile di non garantiti impegnato a nuotare da solo nel burrascoso mare della globalizzazione, a votare chiunque prometteva uno scudo economico (vedi Reddito di cittadinanza) oppure un impegno di tipo fiscale, alleggerendone il carico. Ma considerazioni del genere valgono anche per il comparto industriale e per certi versi, e solo fino ad un certo punto paradossalmente, perfino per settori del sindacato. Un mondo che in parte ha votato a destra dopo aver testato i Cinquestelle e in parte, forse maggioritaria, no ma che comunque si aspetta dalla politica un salto di qualità, uno scatto che allo stato solo la Destra può immaginare di compiere, visto che le opposizioni dal Pd ai grillini per finire al Terzo polo, non solo sono divise ma non hanno ancora deciso che tipo di atteggiamento tenere nei riguardi dei vincitori del 25 settembre.
Da questo punto di vista forse il dato più esemplificativo è fornito dalla proposta meloniana di prevedere una svolta istituzionale in senso presidenzialistico. Terreno minato ma anche qui per molti versi obbligato: anche chi ama il sistema parlamentare non può non convenire che oggi per riavvicinare i cittadini alla politica serve uno sforzo fuori dal normale, una strambata verso nuovi e inesplorati lidi.
Insomma è il cambiamento il vero spartiacque del governo di destra. La grinta e la determinazione del presidente del Consiglio sono apparse in modo evidente nel dibattito parlamentare, e sono un segnale importante. Meloni ha detto che perseguirà l’obiettivo di riformare l’Italia “anche a costo di non essere rieletta”. Dichiarazione impegnativa. Perché il cambiamento può anche sfuggire di mano.