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Occhio al mito del price cap, meglio una riforma del mercato elettrico. Parla Bergamaschi (Ecco)

L’esperto e co-fondatore del think tank per il clima a Formiche.net: un tetto al metano abbasserebbe il costo di poco, sarebbe molto meglio intervenire sull’energia pulita così da dare certezze a chi compra e a chi vende, oltre che agli investitori.  Il ritorno al carbone non preoccupa, il futuro è green

Un tetto al prezzo del gas forse arriverà, non sarà facile e potrebbe anche non essere una mitica soluzione. Una cosa è certa, la guerra in Ucraina e l’impennata del metano non mettono in serio pericolo la transizione energetica. Di questo è convinto Luca Bergamaschi, co-fondatore e direttore esecutivo per le politiche internazionali di Ecco, uno dei principali think tank per il clima.

IL TETTO SERVE (O NO)?

“Sul price cap, partiamo da un presupposto: ci sono non meno di due Paesi, parlo di Germania e Olanda, che temono il dirottamento del gas dall’Europa all’Asia, perché lì il metano viene pagato meglio. Dunque, suddetti Paesi, vedono il tetto come un rischio agli approvvigionamenti”, spiega Bergamaschi. Detto questo “non credo che il price cap possa risultare utile all’Italia per il semplice motivo che sì abbasserebbe il prezzo ma solo di 5-6 volte rispetto a costo del metano prima della guerra. Avrebbe, quindi, poca conseguenze dal punto di vista economico e certamente potrebbe mettere a rischio le forniture. Direi che è il momento di capire come abbassare i prezzi, partendo dal disaccoppiamento del prezzo tra elettricità prodotta da rinnovabile e da gas”.

L’esperto immagina in questo senso una riforma strutturale dello stesso mercato elettrico. “Per esempio, fissare un prezzo fisso per l’energia rinnovabile, ma disallineato dalla volatilità del gas, dando così sicurezza a chi compra e a chi vende. Quanto al prezzo del gas, in questo momento risponde a una dinamica bellica e finché non c’è una soluzione, non c’è la pace, il prezzo rimarrà alto. Solo quando il conflitto terminerà il costo del gas crollerà. Anche perché la domanda di gas sarà sempre più in calo da qui in avanti, raffreddando ulteriormente il prezzo nello scenario tendenziale”.

LA TRANSIZIONE (NON) RISCHIA

Bergamaschi si concentra poi sui costi ambientali della guerra. I timori per una crisi del gas nel lungo periodo potrebbero infatti risvegliare la voglia di carboni fossili, pur di non rimanere al freddo e magari al buio. Spazzando via anni di sforzi per l’energia pulita. Ma l’esperto non la vede così. “Tutto dipende da quanto tempo utilizziamo una risorsa di emergenza, come il carbone, senza farla diventare strutturale. Il ritorno al carbone è oggi una scelta di urgenza e una volta finita la guerra, verrà meno l’utilizzo di tale risorsa, questo è piuttosto certo. Io non vedo onestamente un rischi di ritorno al passato, le rinnovabili diventeranno strutturali e ci permetteranno di risparmiare parecchio. Anzi, ci sarà un’accelerazione in questo senso. Non sarei così preoccupato sui danni alla transizione”.

Photo by Patrick Hendry on Unsplash



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