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L’Eritrea attacca, l’Etiopia prova a sfondare nel Tigray. Tregua difficile

I ribelli tigrini aprono a una tregua (mediata dall’Unione africana), ma chiedono alla Comunità internazionale di condannare l’intervento dell’Eritrea al fianco dell’Etiopia. Asmara ha interessi a sostenere Addis Abeba, ma non commenta e attacca la posizione occidentale

“Siamo pronti a rispettare l’immediata cessazione delle ostilità”, si legge in una dichiarazione delle autorità indipendentiste tigrine, che annunciano di accettare la tregua proposta dall’Unione africana. “Chiediamo inoltre alla comunità internazionale di costringere l’esercito eritreo a ritirarsi dal Tigray, di adottare misure concrete che portino all’immediata cessazione delle ostilità e di fare pressione sul governo etiope affinché si presenti al tavolo dei negoziati”.

Almeno dal 10 ottobre le forze armate eritree starebbero conducendo una pesante offensiva sul Tigray, stato regionale contro cui combatte il governo etiope. Il 4 novembre saranno due anni da quando sono iniziati gli scontri, seguiti agli attacchi tigrini (legati alle proteste per il rinvio delle elezioni e alla pessima gestione della crisi pandemica da parte del governo) e alla violentissima risposta dell’esecutivo di Abiy Ahmed.

Il conflitto si è ormai quasi regionalizzato, come dimostra il coinvolgimento dell’Eritrea al fianco dell’Etiopia. Le notizie sull’offensiva le fornisce l’Associated Press, uno dei pochi media internazionali a cercare di raccontare in modo terzo una guerra che Addis Abeba (e Asmara) vuole tenere nascosta, coperta dalla cortina fumogena dell’infowar, per evitare di esporre pubblicamente le atrocità commesse contro i nemici (combattenti e civili).

Gli eritrei stanno combattendo lungo le tre principali linee di scontro orientale, impegnando circa 100.000 soldati, organizzati in 10 divisioni di fanteria meccanizzata. Il governo etiope sta bombardando con i droni turchi e cinesi di cui è dotata. L’intera area del Tigray è isolata, tagliata dagli scontri è irraggiungibile dalle operazioni umanitarie.

“L’attuale dimensione del conflitto — spiega l’analista Nicola Pedde sul sito specializzato Meridiano 42 — sembra essere nuovamente transitata in direzione di un tentativo del governo federale etiopico e di quello eritreo di fiaccare la resistenza tigrina e logorarne la capacità operativa impegnandone le forze in combattimento su più fronti. Le forze del Tigray appaiono in questa fase in evidente difficoltà nel reggere l’urto di una così massiccia offensiva, sebbene la portata dell’avanzata etiopica ed eritrea appaia ancora geograficamente modesta”.

Stati Uniti, Australia, Danimarca, Olanda, Gran Bretagna e Germania hanno condannato la ripresa dei combattimenti, con un passaggio molto esplicito contro il ruolo svolto dall’Eritrea. Asmara, attraverso l’ambasciata di Washington, ha diffuso un comunicato per criticare la posizione occidentale e accusare gli Usa e gli alleati europei di aver volutamente minimizzato il ruolo svolto dal Tplf, il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, partito/milizia combattente.

L’Eritrea non commenta il coinvolgimento negli scontri (per lungo tempo tenuto oscurato e per la prima volta ammesso da Abiy Ahmed nel marzo 2021). Ma le nuove attività potrebbero essere una spinta a un piano legato alla volontà di disarticolare la leadership tigrina, con cui le tensioni vanno avanti dagli anni in cui governava l’Etiopia. Secondo un articolo pubblicato dalla BBC, Asmara ha iniziato a muovere anche i riservisti per inviarli al fronte. Va ricordato che l’Eritrea rivendica una porzione del territorio del Tigray.

A questo punto l’Unione Africana dovrà lavorare rapidamente per ricostruire il quadro diplomatico secondo cui dovevano tenersi colloqui in Sud Africa. Il perdurare dei combattimenti e l’intensità degli scontri potrebbero vanificare ogni tentativo di promozione del dialogo nonostante i buoni propositi mostrati. La distensione sarebbe fondamentale perché il conflitto sta alterando le dinamiche interne alla regione strategia del Corno d’Africa, solcata già da altre questioni securitarie e politiche.


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