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Prudenza e Draghi, le carte di Meloni in Ue. Parla Orsina

Il direttore della School of Government della Luiss: “Il leader del Carroccio è più facile che finisca con un ministero non importantissimo, o nessun ministero, e la vicepresidenza del consiglio, che con un ministero chiave”. E Forza Italia? “Se Berlusconi evita di farsi prendere dalla ‘sindrome dello spodestato’, può guadagnare parecchio spazio politico”

Toto-ministri, illazioni, chiacchiere più o meno fondate, giri di telefonate. Silvio Berlusconi si ritaglia il ruolo di mediatore per il suo partito al quale, immaginiamo, spetteranno ministeri chiave nel prossimo esecutivo. Matteo Salvini, capo del Carroccio, scalpita per riassestarsi sul destriero del Viminale dal quale è stato disarcionato (anche se si pensa a un ministero meno ingombrante come l’Agricoltura). E Giorgia Meloni, che dopo l’esito delle votazioni ha preferito la linea della discrezione, osserva e deciderà. Per capire quali scenari ci dobbiamo attendere e per provare a tracciare l’identikit dei futuri ministri, abbiamo chiesto a Giovanni Orsina, storico e  e direttore della Luiss School of Government, una previsione.

Oggi Giorgia Meloni è intervenuta pubblicamente per la prima volta dopo la vittoria. Come le è parsa?

In ottima forma. Ha fatto il discorso di una conservatrice che si misura con la realtà: sussidiarietà, sostegno ai produttori, cooperazione internazionale ma a partire dall’interesse nazionale. È sempre più evidente che questa sta diventando la sua cifra: rispettosa delle proprie opzioni ideologiche, ma non al punto da perdere di vista le condizioni di contesto.

Al di là della cordialità, cosa dovrà riconoscere Meloni a Berlusconi e cosa si può aspettare Forza Italia dal prossimo esecutivo?

Meloni, in buona sostanza, ha ereditato la coalizione di centrodestra che Berlusconi ha costruito nel 1994. In più, Berlusconi appartiene a una famiglia politica che in Europa è centrale, e con la quale Meloni non potrà che dialogare. L’Italia potrebbe fare da apripista a una rimodulazione del rapporto fra popolari e conservatori a livello continentale. Se Forza Italia si sa giocare queste carte ed evita di farsi prendere dalla “sindrome dello spodestato”, può guadagnare parecchio spazio politico.

Che partita si gioca sulle nomine dei membri del governo? Sarà rispettato il Cencelli oppure prevede personalità esterne rispetto al perimetro della coalizione?

I governi sono politici. I tecnici al governo sono un’anomalia che va utilizzata con grande moderazione. È giusto che questo governo abbia una caratura politica importante e per lo più ministri politici. Dopodiché, su alcune poltrone molto delicate è meglio, in questo momento, che sieda un tecnico. Ma stiamo parlando di non più che un pugno di posti, a partire ovviamente dal ministro dell’Economia.

Salvini avrà, in definitiva, un ministero chiave?

La collocazione di Salvini è forse il principale problema politico che Meloni dovrà risolvere. A occhio, direi che è più facile che finisca con un ministero non importantissimo, o nessun ministero, e la vicepresidenza del consiglio, che con un ministero chiave. Ma la mia non è altro che un’illazione “al buio delle cose”, per dirla con Guicciardini.

Draghi e Meloni indignati con la Germania dopo l’annuncio della manovra da 200 miliardi. Quale sarà la percezione di questo governo su scala europea?

Le percezioni, non la percezione. L’Europa non è un’entità unitaria, è attraversata da una miriade di linee di frattura nazionali e politiche. È ben evidente, ad esempio, che i francesi non siano molto contenti; comprensibilmente, non lo sono nemmeno i socialdemocratici. Ma se prendiamo invece la Germania e la famiglia popolare, allora le cose si fanno ben più articolate: molti da quelle parti sono incuriositi, non danno cambiali in bianco ma non sono nemmeno pregiudizialmente avversi. La prudenza di Meloni e il suo asse con Draghi, che si fa sempre più evidente ogni giorno che passa, mi pare stiano gradualmente rafforzando gli incuriositi e indebolendo gli scontenti.

Quali dovranno essere le prime mosse della politica estera del prossimo governo, anche in ottica di risolvere il problema energetico?

Continuare a tutto vapore sulla linea Draghi: spingere sull’Europa per una soluzione comune; cercare di evitare fughe in avanti di questo o quel paese, come quella tedesca; lavorare in Africa per differenziare le fonti. Ai miei occhi di profano, in questa materia, non ci sono alternative.

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