Non si candida, ma inquieta la Nato, il nazionalista Dodik: dopo la guerra in Ucraina qualcuno teme che possa replicare il modello Donesk proprio in Bosnia su stimolo di Mosca. Erdogan spettatore interessato
Un bosniaco, un croato e un serbo sono i tre candidati che si sfidano domenica 2 ottobre per la presidenza della Bosnia, in occasione di elezioni che riguarderanno anche il rinnovo della camera bassa e delle assemblee regionali. I tre milioni e mezzo di bosniaci sceglieranno tra Mirsad Hadžikadić della Platform for Progress, Bakir Izetbegović (nella foto) della SDA e un candidato di centrosinistra della coalizione United for Free Bosnia, Denis Bećirović. Non sfugge che non mancheranno le attenzioni dei super player esterni pronti a soffiare sulle ceneri della ex Jugoslavia, non ancora completamente spente.
Il profilo dei candidati
Il primo è un professore universitario liberale, attuale presidente del partito Platform for Progress. Il partito di Izetbegović è stato al potere quasi ininterrottamente negli ultimi 25 anni: oggi corre per la terza volta, dopo essere stato già per due volte alla presidenza tra il 2010 e il 2018.
Più moderato Bećirović dell’SDP, che corre per il suo primo mandato da presidente dopo aver ottenuto il sostegno dell’opposizione. Tra le sue proposte la necessità di una politica meno etnocentrica, nella consapevolezza che la Bosnia, ha detto, “è una contea democratica e ha bisogno di democratici per guidarla, e non di sultani arroganti che ignorano la voce della gente e si rifiutano di riconoscere la loro indolenza”.
L’ultimo sondaggio rivela un testa a testa tra Bećirović e Izetbegović, con il primo in vantaggio di un punto (17% contro il 16%). Il tasso di astensionismo è tradizionalmente molto elevato, fino al 50%. A fare notizia però è chi ha scelto un passo indietro: si tratta del populista serbo-bosniaco Milorad Dodik, un leader separatista pro Putin.
I partiti
Nel Paese sono tre i principali partiti nazionalisti, uno per ciascuno dei tre popoli costituenti: i bosniaci (musulmani bosniaci), i serbi e i croati. Il Partito di Azione Democratica (SDA), guidato da Bakir Izetbegovic, è il principale: il suo numero uno vanta solidi legami con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Il partito è stato fondato dal padre di Izetbegovic, Alija, nel 1990.
Inoltre c’è l’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (SNSD) guidata da Milorad Dodik che nel corso degli anni ha assunto posizioni sempre più nazionaliste: lo dimostra la minaccia, reiterata per anni, di voler separare dalla Bosnia la componente serba, ovvero la Republika Srpska. Da qui le preoccupazioni internazionali in occasione della guerra in Ucraina, con la possibilità che proprio Dodik potesse replicare il modello Donesk proprio in Bosnia su stimolo di Mosca.
Infine l’Unione democratica croata della Bosnia ed Erzegovina (HDZ BiH) guidata da Dragan Covic molto legata con il partito croato lHDZ del primo ministro Andrej Plenkovic.
Uno sguardo ai numeri
Dopo la guerra in Ucraina nel paese l’inflazione è salita al 17,6% ad agosto, il livello più alto dal 1995. I dati della Bosnia inquietano cittadini e analisti, perché accanto alla stagnazione che produce disoccupazione, salari bassi e alto numero di persone che vivono in povertà relativa o assoluta, ecco proliferare l’illegalità. Come osservato dal Corruption Perceptions Index, la Bosnia è il Paese peggiore in Europa e si trova al 110° posto nel mondo in questa non invidiabile classifica.
Lo scorso giugno l’Ue ha concesso lo status di candidato all’Ucraina e alla Moldova e durante la corsa al Consiglio europeo, Austria, Slovenia e altri hanno sostenuto che l’Ue includesse anche la Bosnia-Erzegovina. Ma nulla si è concretizzato. La Bosnia-Erzegovina è ancorata ai termini degli Accordi di Dayton, che divisero il paese nel 1995 in un’entità bosniaco-croata, chiamata Federazione di Bosnia ed Erzegovina e un’entità a maggioranza serba, chiamata Republika Srpska.
Scenari possibili
Preoccupazioni sull’esito e sul processo elettorale sono state espresse dal presidente della Repubblica di Croazia, Zoran Milanović: “Ho invitato Christian Schmidt, l’alto rappresentante al vertice della Nato, a usare i suoi poteri e imporre cambiamenti questo giugno. Due settimane dopo, è uscito con una proposta che ho valutato come troppo tardiva, ma gradita. Ciò che Plenković sta dicendo non è vero. Devo sottolineare i fatti: dopo 10 anni di inattività, puntare il dito non aiuta”, ha detto Milanović. Ha sottolineato che la Croazia “non è riuscita” a fornire assistenza alla Bosnia ed Erzegovina e ha aggiunto di aver fatto tutto il possibile.
In campo anche Recep Tayyip Erdogan, critico verso Christian Schmidt, l’alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina, che ha tentato controverse modifiche alla legge elettorale prima delle elezioni parlamentari. Ankara intende incunearsi nelle difficoltà che Bruxelles sta trovando sulla strada dell’allargamento e punta a cogliere più opportunità. Lo dimostra la volontà di mediare tra i leader bosniaci, croati e serbi nel tentativo di porre fine allo stallo in Bosnia-Erzegovina. I colloqui potrebbero tenersi a Istanbul.
@FDepalo