Skip to main content

L’Europa torna a credere nel price cap, aspettando Berlino

Dopo aver sbattuto la porta in faccia a Italia e Francia per ben due volte, sull’emissione di debito per fronteggiare il caro bollette e sulla fissazione di un tetto al metano, ora Berlino potrebbe riconsiderare il tetto al gas. Da Bruxelles rilanciano, provando a dimenticare il tana libera tutti gridato dalla Germania con il piano casalingo da 200 miliardi. Che per gli economisti del Bruno Leoni è perfettamente legittimo

Forse, alla fine, il tetto al prezzo del gas arriverà per davvero. Dopo la tiepida apertura di Olaf Scholz, e non è un caso, anche Ursula von der Leyen ha cambiato repentinamente opinione. La Germania, finora, non ne ha voluto sapere di accettare l’idea di un price cap (qui l’intervista all’economista Carlo Alberto Carnevale Maffè), terrorizzata dalla prospettiva di rimanere senza più metano (l’industria tedesca è quasi totalmente dipendente dal gas) una volta chiusi i rubinetti di Gazprom, in reazione al calmieramento coatto.

TUTTI I MURI TEDESCHI

Ora però, a forza di lavorare ai fianchi di Berlino, qualcosa si muove. Il problema è che i precedenti non giocano a favore di una convergenza europea sul fronte dell’energia. Tanto per cominciare, una settimana fa il governo Scholz ha dato il benservito all’Italia, primo sponsor europeo del price cap, allestendo in fretta e furia un piano da 200 miliardi di euro (anche grazie a conti pubblici dalla indubbia solidità) che altro non è che un tetto al gas fatto in casa.

Operazione vista e percepita come uno sganciamento della Germania dal resto d’Europa, tra il rompete le righe e il si salvi chi può. Ma non è tutto. Tre giorni fa Paolo Gentiloni e Thierry Breton, rispettivamente commissario europeo all’Economia e al Commercio, hanno rilanciato la proposta di emettere debito comunitario per finanziare la crisi energetica, sulla falsariga del modello Sure, il meccanismo pandemico nato per aiutare le imprese e i lavoratori ai tempi della grande pandemia. Ma anche qui, la Germania si è defilata: non se ne parla di condividere il debito (emissione di titoli in cambio di liquidità) con chi non ha i conti a posto. Secondo niet.

URSULA NON MOLLA

Ma a Bruxelles, non mollano la presa. E la presidente della Commissione europea è stata costretta ad annunciare a Strasburgo, parlando davanti alla plenaria del Parlamento europeo, che invierà ai capi di Stato e di governo dei ventisette, in vista del loro vertice informale a Praga venerdì prossimo, una “tabella di marcia” sulle prossime iniziative che l’esecutivo Ue vuole proporre per rispondere ai forti rincari energetici, causati in gran parte dalle manipolazioni del mercato da parte della Russia, e ha precisato che fra proposte vi sarà anche quella di un tetto generale al prezzo del gas, a cui è ormai favorevole la maggior parte degli Stati membri.

Questo price cap, ha indicato von der Leyen, “non sarà applicato solo alle importazioni di gas russo e al prezzo del gas utilizzato per produrre elettricità, come aveva già proposto la Commissione la settimana scorsa, ma sarà più generale, per segnalare che l’Ue non è disposta a pagare qualsiasi prezzo, senza alcun limite per le sue forniture”.

LE RAGIONI DI BERLINO

Eppure, c’è chi non vede nel duplice disimpegno teutonico un attentato all’unità dell’Europa. Anzi, la decisione tedesca di mettere sul piatto 200 miliardi per salvare le proprie imprese, non fa una piega. Di questo sono convinti all’Istituto Bruno Leoni, per il quale se da una parte “il timing della proposta (tedesca, ndr) è stato infelice: proprio alla vigilia del Consiglio straordinario sull’energia in cui si è animatamente discusso delle varie proposte per far fronte all’emergenza, tra cui l’idea italiana di un price cap sul gas”, dall’altra “Berlino non sta facendo nulla di qualitativamente diverso rispetto agli altri”.

E questo perché “la Germania ha semplicemente approfittato dello spazio fiscale reso disponibile da un bilancio pubblico sano e da un basso debito pubblico. Se noi non avessimo dilapidato i denari pubblici nel passato lontano e vicino, potremmo fare lo stesso. E se fossimo disposti a tagliare qualche voce di spesa per finanziare interventi emergenziali, potremmo farlo comunque, anche oggi. Tenendo ben presente che le finanze pubbliche italiane sono quello che sono, e la priorità oggi è mettere le imprese in condizione di investire e svilupparsi, non tassarle a morte per operare forme confuse di redistribuzione. Un problema, questo, che riguarda noi tanto quanti i tedeschi e tutti gli europei, visto la debole performance economica dell’intero continente”.

 


×

Iscriviti alla newsletter