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L’armistizio di Berlusconi e l’eterna saga del potere

Settimana di lotta e di governo. Scenari al limite che si agitano o vengono agitati come deterrente in vista del consueto compromesso happy end dell’eterna saga del potere. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Dall’estremo di Canossa, all’armistizio, fino ai più blandi compromesso e accomodamento: commentatori e opinionisti da giorni arano il vocabolario, la storia e le massime latine alla ricerca di definizioni che rendano  al meglio i tentativi di mettere una pezza al quasi riuscito suicidio politico di Silvio Berlusconi in Senato.

Per sintetizzare la difficoltà maggiore si ricorre al latinorum: “Vaffa volant, sed notas manet”. Gli appunti con le urticanti offese rivolte dal Cavaliere a Giorgia Meloni sono infatti difficili da digerire e da giustificare. Tranne, potrebbe essere l’appiglio dei trattativisti filo governativi di Forza Italia, che non li si derubrichi a semplici promemoria sicuramente dettati a Berlusconi per motivarlo psicologicamente a tenere duro sulle richieste dei ministeri. Una tesi al limite dell’irrispettoso per il Cavaliere, ma che sarebbe funzionale ad inscenare la celebrazione di un classico della commedia all’italiana: cioè i “tarallucci e vino”.

L’abile manovra di accerchiamento di Fratelli d’Italia che, bypassando le pasdaran del fondatore di Forza Italia si sono rivolti riservatamente ai suoi figli, Piersilvio e Marina Berlusconi, ha in buona parte sortito l’effetto sperato. Il problema è ora trovare l’escamotage dialettico mediatico per sublimare in astuta mossa tattica l’harakiri di non votare per la Presidenza del Senato il trasversale esponente storico di Fratelli d’Italia Ignazio La Russa. Che è stato ugualmente eletto col concorso di ben 17 franchi tiratori all’incontrario dell’opposizione.  Quasi lo stesso numero di Senatori del gruppo di FI a palazzo Madama.

Accerchiato all’interno ed all’esterno del partito e del nucleo familiare, Berlusconi si è sentito ripetere che se non voleva passare alla storia come l’affondatore di Forza Italia piuttosto che come il fondatore di una nuova compagine che ha segnato una svolta nella politica italiana, doveva fare pace e trovare un accordo con Giorgia Meloni, trovare un modo per chiederle scusa rimettendosi in carreggiata per formare il primo governo guidato da una premier. Perché se non lo farà lui, lo faranno diversi suoi parlamentari pronti ad una scissione per entrare nell’esecutivo.

Visto da Fratelli d’Italia, lo scenario speculare della settimana decisiva per la formazione del 68° Governo della Repubblica presenta prospettive altrettanto delicate. Nessuno si nasconde le insidie di un’alleanza con Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, due leader finora assoluti dei rispettivi partiti che evidenziano vari sintomi psicologici di quella che si potrebbe definire la gelosia del potere svanito o peggio perduto. Sintomi che talvolta rasentano punte patologiche.  Il timore è quello di subire un continuo logoramento, in vista di un tentativo di ribaltone. “Il perdonato non perdona” é la frase evangelica che ricorre maggiormente negli ambienti di Fratelli d’Italia a proposito della pantomima della perdonanza di Berlusconi. Frase che viene abbinata ad un’altra celebre espressione di Giulio Andreotti: “A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”.

Lo spettro che agita il primo partito d’Italia è quello della repentina caduta del governo Draghi. Prospettiva politica al limite della fantascienza, ma matematicamente possibile e che avrebbe tuttavia già attivato, come si è visto per l’elezione di La Russa, contromosse di ampia portata. Quanto meno ad un livello concettuale generale tutto ancora da costruire e soprattutto da verificare. Si potrebbe cioè prefigurare, oltre ad una già latente scissione di Forza Italia e ad una eventuale analoga separazione parlamentare in progress delle correnti del Pd, la formazione di una nuova maggioranza di governo per fronteggiare la cronica emergenza del Paese ed i contraccolpi purtroppo crescenti delle concentriche crisi energetica, economica e sociale.

Una  grosse koalition alla tedesca, che ha consentito alla Germania di imporsi economicamente in Europa e nel mondo e che ricorda la lungimiranza di Angela Merkel, una leader indiscussa alla quale, involontariamente o meno, sembra attagliarsi il piglio politico di Giorgia Meloni.

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