Xi Jinping teorizza il concetto di sicurezza come pilastro della sua strategia, e tutto parte dal controllo interno. L’allontanamento di Hu Jintao potrebbe servire a stabilizzare gli animi più agitati del Partito. L’analisi al “Var” di quel momento, tra gesti, strattoni e frasi sussurrate, e un punto fermo: i 205 membri del Comitato centrale appena annunciati non comprendono Li Keqiang e il collega Wang Yang, entrambi considerati i protetti di Hu
(Nella foto, scattata nel 2009, si riconoscono Xi Jinping, secondo da sinistra, Hu Jintao, quinto, e Jiang Zemin, sesto)
L’ex leader della Cina, Hu Jintao, è stato inaspettatamente allontanato dalla cerimonia di chiusura del XX Congresso del Partito Comunista, in un “moment of drama” (copyright CNN) durante un evento tipicamente molto coreografico, dove i riti del Partito assumono un significato di continuum storico simbolico.
Tutto il mondo ne parla perché quello che è successo a Hu può essere un segnale sul futuro verso cui Pechino si sta orientando, che è un interesse globale visto quanto la Cina è centrale nelle dinamiche del pianeta.
Parlare di retroscena e significati è tuttavia quasi impossibile (diffidare sempre da considerazioni a caldo su ciò che succede a Pechino). Resta però che l’imperscrutabilità del regime cinese in quei venti secondi è venuta meno. E c’è già chi si lancia nel dire che quanto successo a Hu racconta molto del nuovo livello di chiusura, controllo e per certi versi brutalità che il terzo mandato imminente da segretario, presidente e capo delle forze armate di Xi Jinping si porterà dietro.
“Lasciate la Cina il più velocemente possibile”, scrive su Twitter Gordon Chang, studioso che non è stato proprio un drago nel prevedere “The Coming Collapse of China”, come si intitola il suo famosissimo saggio che annunciava la fine della Cina entro dicembre 2011 — tempistica poi aggiornata di un anno, al 2012. Siamo nel 2022 e Xi e la sua Cina (“sua” adesso più che mai) sono lanciati verso il tetto del mondo.
Non senza difficoltà: l’economia non corre più come prima del Covid (anche per via delle eccessive misure restrittive), le sfide e le competizioni geostrategiche si stanno complicando. Xi sta chiudendo il Paese verso un autosostentamento strategico, anche per proteggere da venti e correnti che potrebbero diventare tempeste se dovessero innescarsi. Seppure ovattato e contenuto, soffia uno scontento tra i cittadini.
Al punto che le autorità sono state sfidate nei giorni del Congresso con forme di dissenso pacifiche come il manifesto esposto a Pechino in cui si leggeva: “Vogliamo il cibo, non i test PCR. Vogliamo libertà, non lockdown. Vogliamo rispetto, non bugie. Vogliamo una riforma, non una rivoluzione culturale. Vogliamo un voto, non un leader. Vogliamo essere cittadini, non schiavi”. Un altro simbolo di questo periodo cinese che ha rapidamente fatto il giro del mondo.
Tutto richiama al concetto di sicurezza, che Xi nel suo discorso inaugurale ha citato 57 volte — terzo termine più usato dopo “Partito” e “popolo”, gli altri pilastri della strategia. Sicurezza è controllo. Interno ed esterno: è soprattutto il punto attorno a cui si fondono il lato interno e il lato esterno dalla strategia totale del leader cinese. È il caso di Hong Kong, le cui ambizioni democratiche erano un problema interno con proiezione internazionale e sono state represse da una legge per la Sicurezza nazionale draconiana. O dello Xinjiang, dove la tenuta securitaria che riguarda le potenziali derive jihadiste, presenti in certe istanze di gruppi minoritari tra i musulmani uiguri, arrivano a giustificare i campi di rieducazione denunciati dall’Onu come campagne di repressione di massa e definite da Washington “genocidio”. O ancora, sicurezza è anche il controllo di Taiwan, dello stretto che separa l’Isola dal mainland, simbolo di una distanza inaccettabile per Pechino e di un’esistenza — l’altra Cina — da cancellare dalla faccia della storia.
Sicurezza è anche il controllo del potere. Nel Partito e nel Paese. Seduto in una posizione di rilievo al tavolo anteriore della Grande Sala del Popolo di Pechino, tra il suo successore Xi e il terzo leader più anziano della Cina, Li Zhanshu, Hu Jintao (mentore della rivalità interna che Xi intende obliterare) è stato avvicinato da un membro dello staff, come mostra il video dell’allontanamento.
Former Chinese leader Hu Jintao taken out of the Chinese Party Congress — apparently against his will. What happened? Hu was China’s top official before Xi. Did he oppose Xi’s historic power grab?
CNN reporting on the incident censored in Chinapic.twitter.com/snl7lUhK9P— Frida Ghitis (@FridaGhitis) October 22, 2022
Hu è sembrato alzarsi dopo essere stato sollevato, mentre Kong Shaoxun, capo della segreteria del partito, si è avvicinato. Hu ha parlato brevemente con i due uomini e inizialmente è apparso riluttante ad andarsene. Poi è stato scortato dai due fuori dalla sala, tenuto per il braccio. Mentre usciva, Hu si è fermato a dire qualcosa a Xi, per poi dare una pacca sulla spalla al premier Li Keqiang — pensionato dal Congresso ed escluso dal Comitato centrale. Sia Xi che Li sembravano annuire. A un certo punto, mentre Hu era ancora seduto, Xi è sembrato mettere la mano su un documento che Hu stava cercando di raggiungere: sembrava volergli impedire di prenderlo, ed è anche per questo che si sta parlando di una purga, sebbene è noto da tempo che Hu sia in condizioni di salute non eccellenti e l’allontanamento potrebbe essere legato a un malore.
Li Zhanshu è sembrato in procinto di alzarsi dal suo posto, ma è stato riportato a terra da uno strattone alla giacca del suo abito da parte del collega del Comitato permanente del Politburo Wang Huning, seduto accanto a lui. A causa dell’opacità dell’élite cinese è improbabile che il partito offra una spiegazione pubblica sull’improvvisa uscita di Hu. Per questo si osserva ogni secondo della vicenda come se questa sorta di VAR potesse dare segnali che vanno oltre ai fatti.
Il momento è stato drammatico e chiaramente oscurato dai media cinesi. Una censura frutto di quel controllo, la necessità di tenere certe situazioni al sicuro dagli occhi del popolo. Tanto meno la vicenda è stata discussa sui social media cinesi, dove la conversazione è altamente limitata. I vari media internazionali sono stati censurati in Cina quando hanno riferito dell’uscita di Hu dall’incontro, che è avvenuta dopo che gli oltre 2.000 delegati del Congresso avevano approvato i nuovi membri dell’elitario Comitato Centrale del partito durante una sessione privata, e prima che i delegati fossero chiamati ad approvare il rapporto di lavoro del partito durante una sessione aperta ai giornalisti.
I 205 membri del Comitato centrale appena annunciati non comprendono Li Keqiang come detto e il collega del Comitato permanente Wang Yang, entrambi considerati i protetti di Hu. Ciò significa che nessuno dei due manterrà il proprio seggio nell’organo decisionale più importante del partito, sebbene entrambi abbiano 67 anni, un anno in meno dell’età pensionabile non ufficiale. Xi, che ha 69 anni, è incluso nella lista dei membri del Comitato centrale.
La formazione del Comitato permanente sarà resa nota domenica, un giorno dopo la chiusura del Congresso. Xi, che secondo molti ha consolidato il potere eliminando i rivali e smorzando la persistente influenza degli anziani del partito, dovrebbe essere riconfermato come capo del partito con una mossa che rompe le regole e gli permette di circondarsi di alleati. Il primo passo per assicurarsi e proteggere la sicurezza della Cina è – secondo Xi — avere un clima di controllo in casa.