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In Iran ci vorrebbe un nuovo Khatami per spingere la rivolta alla vittoria

Senza un capo, la rivoluzione iraniana è destinata a spegnersi. Ci vorrebbe un Khatami, già presidente dell’Iran tra il 1997 ed il 2005, più giovane e determinato per dare la speranza a chi sventola veli colorati gridando “Donna, vita, libertà”. L’analisi di Gennaro Malgieri

I conti sono presto fatti. Secondo “Iran Human Rights” dal 26 settembre a ieri, almeno 234 manifestanti sono stati uccisi. Tra questi 29 bambini. Agghiacciante. Ma anche eroico. Quanto più i sicari degli ayatollah si accaniscono contro la popolazione civile, in particolare assassinando, arrestando, torturando i giovani, tanto più le piazze iraniane si riempiono di manifestanti. E per quanto la Guida spirituale Kamenei e il presidente della Repubblica islamica Raisi sostengono che i disordini aprono al strada al terrorismo, nessuno sembra farsi intimidire. E gli oppositori aumentano di numero sfidando le pallottole della polizia religiosa, le minacce dei pasdaran, i guardiani della moralità (che ipocrisia).

Dopo le morti di Esmaeil Mauludi, di trentacinque anni, del ventunenne Shariati, della sedicenne Anika Shakarami, uccisa il 20 settembre il cui corpo decomposto è stato rinvenuto solo pochi giorni fa, si è accesa ancor più la battaglia tra le forze dell’ordine islamico e i ragazzi e le ragazze che hanno promesso di non cedere di fronte alle provocazioni e alle uccisioni seriali ordinate dal regime.

Sembra che da questa incredibile situazione non se ne esca. Il Corriere della sera ha riportato questa dichiarazione della giornalista anglo-iraniana rilasciata alla Bbc, Rana Rahimpour: “Ogni volta che il governo uccide un manifestante, viene avviato un timer di quaranta giorni e ogni volta il timer riparte. Uccidendo dozzine di ragazze e ragazzi, il governo si è intrappolato in un circolo vizioso. I giovani sono elettrizzati dalla protesta senza precedenti di mercoledì. Ora sono tornati in strada per celebrare il 40° giorno di Nika Shakarami. Il prossimo sarà quello di Sarina Esmailizadeh, e così via”.

Non hanno armi, non hanno giornali, contano soltanto sui social i giovani iraniani che hanno sfidato gli ayatollah. Hanno la simpatia silenziosa dei “grandi” che si guardano bene dall’affiancarli. Ma sono soli. Eppure la loro forza è nell’aver abbattuto la paura della morte. Il coraggio è la loro unica arma. Non cercano un capo, ma tra i cosiddetti moderati qualcuno potrebbe venir fuori.

Ci si aspetta un Mohammed Khatami, per esempio, già presidente dell’Iran tra il 1997 ed il 2005. Vinse ampiamente le elezioni grazie al voto femminile e giovanile grazie alle sue promesse di migliorare lo stato delle donne e di dare una risposta alle domande delle generazioni più giovani. Ha 79 anni, ma a quel che si sa, gode di buona salute. I suoi seguaci aderiscono al “Movimento del 2 di Khordād”, in ricordo del giorno della sua elezione, secondo il calendario iraniano, avvenuta appunto il 2 di Khordād 1376.

Ma non si può fare affidamento su di loro, invecchiati e delusi dall’ex-leader che ha scelto di dedicarsi allo studio abbandonando quello che fu il motivo che lo consacrò tra i “grandi” protagonisti mondiali del suo tempo, Khātami introdusse la teoria del “Dialogo fra le culture” come risposta alla teoria di Samuel Huntington sullo “scontro fra le civiltà”. Dopo che ebbe introdotto tale concetto in numerose associazioni internazionali, a cominciare dall’Onu, la teoria acquistò rilievo internazionale. Di conseguenza le Nazioni Unite proclamarono l’anno 2001 come l’anno del “Dialogo fra le culture”, grazie all’influenza esercitata da Khātami in proposito. Patrocinando la moralizzazione della vita politica, Khātami affermò che “la traduzione politica del ‘Dialogo fra le culture’ avrebbe significato la supremazia di cultura, moralità e arte sulla politica”. Khātami per questo divenne una personalità di spessore internazionale e guadagnò credito fra gli intellettuali di tutto il mondo. Scomodo, secondo gli ortodossi, venne messo da parte e dalla fine del mandato si occupa di filosofia politica vivendo appartato.

La sua voce, tuttavia, potrebbe scuotere ancora l’Iran ed innescare una rivolta da parte della vecchia guardia contro Kamenei. Qualcuno ci spera ancora, ma i giovani non lo conoscono, non si fidano di nessuno che ha fatto parte del vecchio regime seguendo le orme di Khomeini per quanto, come Khatami, cercando di modernizzare la prassi politica del regime.
La domanda è: troveranno queste ragazze e questi ragazzi un leader capace di organizzare la rivolta? La risposta al momento non ce l’ha nessuno. Tantomeno coloro che sfidano i basiji, terribili guardiani della rivoluzione, quelli che eseguono le sentenze di morte, con il classico colpo alla nuca, nel carcere di Evin all’imbrunire.

Senza un capo, la rivoluzione iraniana è destinata a spegnersi. Ci vorrebbe un Khatami, più giovane e determinato per dare la speranza a chi sventola veli colorati gridando “Donna, vita, libertà”.

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