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I droni iraniani in Ucraina alzano la tensione tra Israele e Russia

Di Emanuele Rossi e Gabriele Carrer

La fornitura militare iraniana alla Russia ha valore politico: il coinvolgimento di Teheran nel conflitto ucraino potrebbe portare Israele a rivedere le sue relazioni con Mosca. E il rischio è l’aumento del caos in Medio Oriente

Aggiornamento delle 19:07. Il giornalista israeliano Barak Ravid del canale Walla News ha ottenuto in esclusiva una lettere che ieri, martedì 18 ottobre, il governo ucraino ha inviato a Israele contenente la richiesta ufficiale di ricevere sistemi di difesa aerea che aiutino Kiev a far fronte agli attacchi effettuati dalla Russia utilizzando droni (e in futuro missili balistici) realizzati in Iran.

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All’indomani degli attacchi russi contro le infrastrutture energetiche in tutta l’Ucraina con droni “kamikaze”, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha annunciato che il suo Paese intende presentare una richiesta formale a Israele per ottenere assistenza immediata in materia di difesa aerea. Tuttavia, difficilmente arriverà una risposta positiva.

Fin dai primi giorni dell’invasione russa, Kiev ha chiesto a Gerusalemme – pubblicamente e privatamente – di inviare i suoi sistemi di difesa missilistica, in particolare l’Iron Dome. La risposta è stata: siamo dalla vostra dalla parte. Ma niente di più.

Giovedì scorso, Yevgen Korniychuk, ambasciatore ucraino in Israele, si è detto dispiaciuto per il fatto che Israele non abbia riconsiderato la sua posizione sulla guerra nonostante sette mesi di richieste. “Ci dicono che stanno valutando la possibilità, ma sono un Paese democratico e la decisione è stata presa dal gabinetto di difesa”. Kuleba ieri ha anche suggerito al presidente Volodymyr Zelensky di interrompere i legami diplomatici con l’Iran, che fornisce alla Russia le munizioni rotante Shahed-136 che giornalisticamente “droni kamikaze”. Domani è previsto un colloquio telefonico tra lui e  l’omologo Yair Lapid, ministro degli Esteri ad interim e primo ministro.

Nei giorni scorsi Nachman Shai, ministro degli Affari della Diaspora, si era detto convinto che Israele dovrebbe inviare armi all’Ucraina — e il tema in questo caso può toccare anche la questione delle migliaia di ebrei che stanno cercando di lasciare la Russia. Ma l’opinione non è condivisa da buona parte del governo. Inoltre, Israele è in campagna elettorale. E così Benny Gantz, ministro della Difesa, e l’ex premier Benjamin Netanyahu, ora leader dell’opposizione, si sono ritrovati allineati sull’indisponibilità a modificare la politica israeliana di non inviare armi all’Ucraina.

È sicuro che la questione dell’aiuto militare iraniano abbia comunque fatto alzare l’attenzione di Israele nei confronti del conflitto russo in Ucraina. È possibile che questo aumento dell’attenzione possa portarsi dietro anche un aumento del coinvolgimento israeliano. È certamente meno probabile che questo sarà pubblico e pubblicizzato oltre dichiarazioni misurate. 

Secondo alcune informazioni non confermate dalle parti, alcuni militari israeliani sarebbero già sul suolo ucraino: squadre scelte, unità molto ridotte, inviate col compito di fornire know-how sui droni iraniani. Gli israeliani si sarebbero mossi già da tempo, e adesso lo stesso Gantz ha fatto sapere che sistemi di allarme intelligenti contro le minacce aeree saranno forniti agli ucraini — ed è legittimo che qualcuno da Israele vada a insegnarne quanto meno l’utilizzo. D’altronde Gerusalemme ha interesse diretto e indiretto alla questione, nonché esperienza e conoscenza.

Israele — nemico esistenziale della Repubblica islamica — da molto tempo cerca di alzare l’attenzione sulle capacità militari raggiunte da Teheran. In particolare sui droni e su alcuni genere di missili. Le intelligence israeliane ritengono che l’Iran stia fornendo questo genere di armamenti tecnologici ad alcune milizie sciite irachene, soprattuto a Hezbollah, che è in una fase di scontro mai pacificata con Israele.

Il Mossad traccia da anni queste forniture e ha permesso all’aviazione di colpire centinaia di volte questi scambi di armi, che solitamente sono gestiti dai Pasdaran e avvengono quasi sempre in Siria (a eccezione di rari casi in Iraq). Il corpo teocratico che adesso guida le repressioni di chi manifesta contro il regime, da tempo (almeno dal 2012/2013) si occupa di rafforzare le milizie che fanno parte del network di influenze regionali: poter usare per questo scopo il caos del conflitto siriano è stata un’occasione perfetta. Tanto più se nel farlo si poteva sfruttare una sostanziale compiacenza russa.

La Russia ha accettato gli interessi dei Pasdaran perché le milizie mobilitate dall’Iran sono state fondamentali per salvare dai ribelli Bashar El Assad. Ora Mosca controlla la Siria insieme a Teheran, in un rapporto che non è troppo vellutato anche a causa dell’ambiguità con cui gestisce i raid israeliani. I russi controllano i cieli siriani, ma chiudono un occhio sugli attacchi israeliani contro i traffici iraniani — attacchi che spesso colpiscono anche direttamente i Pasdaran, e Teheran detesta questo atteggiamento.

Ora le cose potrebbero cambiare? Certamente se dovesse esserci un aumento del coinvolgimento pubblico israeliano nel conflitto ucraino — magari con la pubblicizzazione di forniture a Kiev che già il premier russo, Dmitri Medvedev, ha minacciato — Mosca avrebbe un dossier su cui farla pagare a Gerusalemme. Per esempio potrebbe evitare di girarsi dall’altra parte quando i radar dei sistemi anti-aerei che controllano la Siria vedono arrivare i caccia (o i missili da crociera) israeliani.

Qui va aggiunto un aspetto tecnico: ammesso che sia possibile vederli, perché Israele per queste missioni usa anche gli F35 Adir, che sono praticamente dei fantasmi per i radar russi. Tuttavia Gerusalemme si troverebbe un problema in più nel condurre quelle operazioni che rivendica come una necessità di sicurezza nazionale, visto che ritiene che quelle armi con cui l’Iran rafforza i suoi proxy regionali verranno usate prima o poi contro lo stato ebraico.

Un altro fattore che potrebbe far cambiare le carte e aprire un’importante (ulteriore) crisi di sicurezza in Medio Oriente, sarebbe una richiesta esplicita dell’Iran alla Russia. Il Cremlino è ricorso ai droni iraniani — e forse in futuro ricorrerà anche da altre armamenti — perché ne ha necessità. Le sanzioni occidentali hanno pesantemente colpito il comparto tecnologico russo, e dunque ridotto le capacità di produzione dell’industria bellica — che ha perso diversi pezzi nella guerra e ha necessità di rifornimenti.

Inoltre la Russia non ha mezzi efficaci come gli Shahed-136, che hanno colpito anche infrastrutture strategiche civili e non solo a Kiev in questi giorni. Sono pezzi validi e utili anche per creare pressione psicologica oltre che danni materiali.

A fronte della fornitura così necessaria, Teheran potrebbe chiedere alla Russia di aumentare la propria protezione sulla Siria, così da creare deterrenza per altri attacchi israeliani. Difficile pensare che Mosca intenda realmente autorizzare potenziali abbattimenti di caccia di Gerusalemme, ma un qualche genere di reattività da parte delle batterie contraeree potrebbe comunque cambiare le cose in un quadrante ancora delicatissimo, dove ogni spostamento minimo dei precari disequilibri in essere potrebbe significare una destabilizzazione incontrollata.

A valle di tutto: Teheran continua a sostenere  respingere e condannare quelle che definisce affermazioni infondate sulla fornitura di armamenti alla Russia da utilizzare nel conflitto ucraino. Dice che si basano esclusivamente su “false flag” e ipotesi inventate, e che non sono altro che un apparato di propaganda per promuovere un’agenda politica contro l’Iran. Eppure diverse immagini scattate da fotoreporter indipendenti corroborano la presenza di questi droni, che le intelligence occidentali segnalano da mesi. È possibile che il regime sfrutti il contesto per fare disinformazione e spingere una narrativa — l’iranfobia e le interferenze esterne contro Teheran — del tutto simile a quella con cui racconta le repressioni delle proteste che vanno avanti da mesi.



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