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L’alchimia delicata dietro i risultati delle urne. Scrive Sisci 

Dopo questo voto, condizionato da come gli schieramenti hanno usato la legge elettorale, le cose sono ancora più complicate. Prima i numeri, poi la politica, infine le prospettive

Ci sono sempre vari modi di vedere i risultati elettorali. Dopo questo voto, condizionato pesantemente da come gli schieramenti hanno diversamente usato la legge, le cose sono ancora più complicate. Inoltre alleanze o mancanze di alleanza confondono ulteriormente le acque.

Quindi prima i numeri, poi la politica dei numeri e infine le prospettive.

I NUMERI

In base ai dati delle passate elezioni ci sono solo due partiti che hanno aumentato i voti, Fratelli d’Italia e Azione. Tutti gli altri hanno perso suffragi, in misura diversa. Qui comincia già il primo paradosso, il “successo” del Movimento 5 Stelle. Se confrontato con il risultato delle scorse elezioni il partito ha più che dimezzato i consensi.

Ma se si fa un paragone con i sondaggi d’opinione, che a un certo punto lo davano quasi per sparito, ha compiuto una rimonta straordinaria. Ha anche cambiato pelle. Era un partito confuso nelle idee (un po’ a destra e un po’ a sinistra) e nella guida (comandava Beppe Grillo, ma anche Davide Casaleggio e poi c’era Luigi Di Maio). Ora ha trovato un’identità politica, grazie a un’operazione tattica iniziata da Matteo Renzi per fare cadere il Conte I. Oggi è la sinistra velleitaria, alla Masaniello. Poi, ha una guida chiara e determinata, Giuseppe Conte e Rocco Casalino.

Qui cominciano i problemi politici.

LA POLITICA

All’estrema sinistra l’avvocato d’affari, arruffapopolo in giacca e pochette, Conte ha provato in passato di avere due facce. Una pubblica, di promesse senza basi economiche, e l’altra nelle trattative segrete e concrete, per estrarre concessioni, come il 110% o il reddito di cittadinanza. Le due facce hanno creato un gruppo di interesse che prima era frastagliato e non solido – quelli che vogliono essere mantenuti dallo stato “gratuitamente”, cioè senza fare niente. È un’intera economia, non solo dei percettori diretti del reddito di cittadinanza o del 110%, ma dei negozi, delle imprese che lavorano con queste due politiche. È un pezzo d’Italia che spinge l’Italia fuori dal mondo, perché come dai tempi di Pinocchio, il paese dei balocchi dove si gioca e non si lavora, non può durare.

È una mina vagante in tempi in cui il Pnrr deve essere applicato. Quando si tratta di rilanciare la produttività e ridurre il debito, queste due politiche sono insostenibili e andrebbero cancellate con un colpo di penna.  Ma nell’Italia debolissima, di consensi ultra fragili, chi osa mettersi contro un 15% del paese? Quindi il Movimento 5 Stelle è destinato a essere come un sasso nella scarpa di ogni politica razionale.

Il Partito democratico ha perso pochi voti in realtà, come molti commentatori si sono affrettati a sottolineare. Ma ha mancato nella direzione politica. Ha spaccato il fronte di sinistra, non riuscendo a unirsi né al Movimento 5 Stelle né ad Azione-Italia Viva di Carlo Calenda e Matteo Renzi. Così ha perso i vantaggi della legge elettorale, perso le elezioni e ha regalato il governo a una destra che complessivamente ha preso meno voti. Lo hanno detto in tanti, ed è vero: il Partito democratico ha perso una direzione di marcia. È un partito radicale allargato, che parla di diritti ma non di questioni sociali, si appella a un ceto medio che si sente tanto per bene e non è interessato a sentire i rombi per la strada. Sarebbe forse meglio scioglierlo, come suggerisce Stefano Feltri, e creare qualcos’altro. Ma essendo un gruppo di potere coeso intorno al mantenimento del proprio potere, è improbabile che ciò accada. Quindi al di là di chi guiderà il partito, il Partito democratico resterà a disposizione di eventuali cambi di maggioranza, che da sempre hanno caratterizzato la politica italiana.

Agente attivo di cambi di maggioranza è Azione-Italia Viva, dove Renzi si è dimostrato finora il più abile manovratore. In teoria non ha margini di manovra, perché il centrodestra ha una maggioranza solida. In realtà, a guardare proprio sotto la coperta del centro destra, gli spazi di azione per questa formazione potrebbero essere grandissimi fra qualche tempo.

Nel centrodestra ci sono infatti due sogni. Quello coltivato da Giorgia Meloni e compagni è di un governo con una base solida in America e un rapporto dialogante con Bruxelles legati dal sostegno certo all’Ucraina contro la Russia. Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, leader rispettivamente di Lega e Forza Italia, invece sono più chiaramente filo-putiniani. Per loro i numeri dei voti non contano. I due sono infatti padroni dei loro partiti. La sconfitta, secondo loro, quindi è dei luogotenenti.

LE PROSPETTIVE

I veti degli alleati a Salvini e Berlusconi insieme alle loro ambizioni e le loro agende (di sostegno al presidente russo Vladimir Putin) creano un equilibrio difficile da comporre e comunque instabile. Se un domani il premier Meloni dice qualcosa a favore dell’Ucraina mentre gli altri due la contraddicono che succede? Se lei cerca di inviare armi e gli altri si oppongono che accade? Ciò può avvenire in qualunque momento al di là delle promesse di oggi. Inoltre, se domani o dopodomani Putin cade, i due restano orfani e magari ci sono rivelazioni, che capita?

Questa serie di domande, che giustamente oggi sono nello sfondo, grava però per la stabilità del governo e quindi per la fiducia nella applicazione italiana del Pnrr. Quindi ha riflessi sui tassi di interesse. In teoria la politica estera andrebbe “commissariata”, ma da chi? Le istituzioni di politica estera italiana sono state dietro gli eventi non alla loro testa, e ciò ha creato enormi ritardi e sballottamenti politici.

Non credevano alla pericolosità della Russia, poi non credevano che avrebbe invaso l’Ucraina, quindi non credevano che l’Ucraina avrebbe tenuto, e ancora non credevano che Mosca sarebbe stata sconfitta nella sua “operazione speciale” e avrebbe annunciato la mobilitazione. Hanno cambiato idea, ma restando sempre un passo dietro gli eventi.

Praticamente, il taglio delle forniture di gas che Putin sta usando ora, doveva essere applicato dall’Italia a marzo. Avrebbe messo Putin con le spalle al muro privandolo della cassa che invece sta continuando a fare anche oggi. Allo stesso modo le forniture di armi. Se l’Italia avesse anche svuotato i suoi arsenali fornendo tutto il possibile all’Ucraina e messo Leonardo a lavoro per la guerra in Ucraina, forse oggi i combattimenti sarebbero già finiti.

Gli errori di valutazione accadono, e in questo caso forse ciò è dovuto al fatto che tali istituzioni sono tarate per periodi di pace. Il terremoto politico e strategico della guerra impone una complessa ricalibratura. La debolezza delle istituzioni combinata con il pericolo di dirottamenti di attori politici come Salvini e Berlusconi possono creare miscele che andrebbero evitate alla radice.

Bisogna dare il tempo e il modo alle istituzioni di ripensarsi e isolare i due dai contatti su questioni sensibili. Se questa alchimia non avviene, la stabilità del governo, il Pnrr e i tassi di interesse vanno a rischio.

Ciò in particolare dopo la decisione tedesche sul fondo per il caro-gas. Decidendo di andare da sola, e voltando le spalle all’Unione europea su una questione delicatissima, si crea una difficoltà in più per l’Unione europea. Qui le forze centrifughe potrebbero rafforzarsi, viste le spaccature già esistenti sulla guerra.

La Germania ha tante ragioni nazionali profonde, e soprattutto deve fare i conti con il crollo progressivo della sua politica estera trentennale basata su rapporti con Russia e Cina. Inoltre, sente di non potersi fare condizionare più troppo da paesi con un rapporto debito/Pil altro, mentre essa ha messo i suoi conti in ordine. C’è ragione di essere ottimisti, perché Meloni è profondamente cosciente degli eventi in corso. Ma oggettivamente l’operazione è molto delicata e instabile. Infine, se una cosa ha insegnato la passata legislatura, è che le formule di governo sono infinite.

Così c’è una sola certezza. La presidenza di Sergio Mattarella è più cruciale che mai.



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