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Un Letta-bis, seguendo il modello Mattarella? Il mosaico di Fusi

Il metodo Mattarella si porta dietro delle conseguenze problematiche, prima fra tutte il mancato rinnovamento e il ricambio se non generazionale almeno delle facce. Ma la partita è complicata, il verdetto delle urne ha sparso sale sulle ferite e Letta confermato può essere il balsamo giusto. La rubrica di Carlo Fusi

A prima vista può sembrare inverosimile. Assoluta fantapolitica. Enrico Letta ha detto che non si presenterà candidato alla segreteria al congresso del Pd, quando si farà. Perché non credergli? Letta è uomo d’onore e se c’è una cosa che tutti, amici ed avversari, gli riconoscono è di essere una persona seria. Però poi oltre alle esigenze personali ci sono quelle della politica e del partito che resta il maggiore tra quelli di opposizione e, come ha spiegato su Repubblica Luciano Violante, tra i più grandi e importanti della sinistra europea.

E allora? Allora potrebbe essere che anche per Letta funzioni il meccanismo Mattarella, il medesimo che ha portato alla rielezione qualche mese fa del capo dello Stato. Anche Mattarella aveva giurato e spergiurato di non volersi ricandidare: c’è qualcuno che può non credergli? Poi però le contingenze politiche, la spinta dei peones che poi sarebbero la “base” dei parlamentari e infine la guerra ad azzerare candidature contrapposte presentare da questo o quel leader di partito, hanno congiurato a spingere Mattarella al ripensamento. Bene: perché qualcosa del genere non potrebbe funzionare anche per Letta?

La storia insegna che nei partiti di sinistra, e il Pd non ha fatto eccezione, lo sport preferito è sgambettare il segretario appena incoronato. Meglio ancora se poi è sconfitto dal voto. E, a prima vista, nessuno meglio di Letta si presta al ruolo di capro espiatorio. Nel gioco delle alleanze alla fine è rimasto col cerino in mano votandosi ad una sconfitta sicura viste le regole del Rosatellum; di conseguenza la destra ha ottenuto una vittoria storica se non in termini numerici senz’altro in termini politici. Facile, anzi felicissimo dire: è tutta colpa sua, di Letta. Facile facilissimo chiedergli, anzi imporgli, di lasciare: anche perché lui stesso l’ha annunciato anticipando tutti. Bene, ma adesso che si fa? La corsa a candidarsi, è cronaca di queste ore, è in pieno svolgimento e per il resto si può dire con un pizzico di sarcasmo che se i tanti, anzi tantissimi che si affollano al capezzale del Nazareno determinati a suggerire la loro ricetta per risorgere avessero fatto campagna elettorale e votato Pd, forse oggi i rapporti di forza a livello nazionale sarebbero diversi.

Lasciamo stare. Il punto è: se non Letta, che come tutti sanno fu richiamato a furor di popolo da Parigi, chi al suo posto? Chi per non trasformare il Congresso in una lotta fratricida che invece di rafforzare finisca col far implodere il Pd? Ecco allora che se non altro ai fini della stabilità – Letta si è autodefinito un traghettatore ma i tempi di questo impegno possono allungarsi senza che nessuno sbraiti più di tanto: Bonaccini a parte, beninteso… – la conferma può far breccia. È il metodo Mattarella che giorno dopo giorno sapientemente scava come la talpa del vecchio Marx e convince una platea sufficientemente vasta. Insomma al dunque il ragionamento è meglio tenersi il leader che c’è il quale, come ha soavemente sottolineato il governatorissimo Vincenzo De Luca nel comizio finale a piazza del Popolo, “non sarà un segretario scoppiettante e pirotecnico, vabbuò”, però si conosce, si sa chi è e il passo felpato che ha, al posto di uno “nuovo” che poi chissà come si muove e che bisogna ricominciare con la fatica di segare appena eletto.

Certo, il metodo Mattarella si porta appresso anche delle conseguenze problematiche, prima fra tutte il mancato rinnovamento e il ricambio se non generazionale almeno delle facce. E poi comporta una serie di questioni politiche non di poco conto. Anche qui prima fra tutte quella delle alleanze, Rubicone da cui non si sfugge. Letta segretario vuol dire rapporti con il M5S di Conte gelidi che più non si può. E come si fa a vincere per esempio nelle regionali del Lazio di febbraio se i Cinquestelle se ne stanno soli soletti, tanto a loro di perdere importa poco? E che dire del duo Calenda-Renzi, che considerano Conte non potabile e che comunque come del resto l’ex premier, altro non vogliono – vero Luigi Zanda? – che vedere deflagrare il Pd per invadere le trincee elettorali che lascia sguarnite?

Insomma la partita è complicata e questo si sapeva. Il verdetto delle urne ha sparso sale sulle ferite e Letta confermato può essere il balsamo giusto. Certo, è sempre e solo fantapolitica: un po’ per celia e un po’ per non morire.

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