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Macron-Meloni e il nuovo rapporto con la Francia. Gli scenari di Gressani

“Siamo in un contesto europeo particolare. Nei giorni scorsi l’Eliseo ha esposto in modo molto chiaro la sua inquietudine rispetto alla fragilità della relazione tra la Francia e la Germania, con il rinvio del summit. Scholz sta attraversando una tempesta perfetta. La Francia può essere interessata a cercare, su alcuni dossier, un sostegno da Roma”. Intervista al direttore del Groupe d’études géopolitiques (Geg) dell’Ecole Normale Supérieure e del Grand Continent

Emmanuel Macron incontrerà Giorgia Meloni nel suo viaggio in Italia? L’Eliseo presenta questa visita in un contesto preciso: se Macron va a Roma è innanzi tutto per un incontro con il Papa in Vaticano, dice a Formiche.net Gilles Gressani, che dirige il Groupe d’études géopolitiques (Geg) dell’Ecole Normale Supérieure di Parigi e la rivista “Le Grand Continent”, e insegna a Sciences Po Paris.

Gilles Gressani

A pochi giorni dalla visita a Roma del presidente francese Emmanuel Macron sia alla Comunità di Sant’Egidio che al Colle, quale il peso specifico del viaggio che si insinua in un momento molto particolare per il governo italiano?

L’Eliseo presenta questa visita in un contesto preciso: se Macron va a Roma è innanzi tutto per un incontro con il Papa in Vaticano. In questa sequenza, c’è una presa di contatto con il Presidente della Repubblica con cui dovrebbe pranzare lunedì. Le interferenze con l’attualità politica italiana sono evidenti, ma l’Eliseo cerca di relativizzare l’impressione di un cortocircuito politico-istituzionale. Macron ha persino dichiarato che vedrà cosa Mattarella gli consiglierà di fare rispetto a un incontro eventuale con la presidente del Consiglio.

E stando all’attualità europea?

Siamo in un contesto europeo particolare. Nei giorni scorsi l’Eliseo ha esposto in modo molto chiaro la sua inquietudine rispetto alla fragilità della relazione tra la Francia e la Germania, rinviando il prossimo Consiglio dei Ministri franco-tedesco. L’unilateralismo tedesco sull’energia, sulla difesa, in un contesto di tensioni così vaste e di così profonda ridefinizione degli equilibri rende meno forte la relazione, da sempre caldeggiata dalla Francia, attorno a un asse franco-tedesco in un’ottica di costruzione europea.

Come spesso accade quando grippa il motore franco-tedesco, scatta da parte della Francia la tentazione di guardarsi intorno, cercando un’opzione latina, per cercare di avanzare su dossier magari più specifici e settoriali. Questo è un elemento che probabilmente giocherà un ruolo in questa sequenza. Ma dal momento che siamo ancora ai primissimi vagiti del governo Meloni, è difficile dire fino a che punto questa sia una cosa che sarà seguita da elementi più operativi, più concreti.

Macron proprio pochi giorni fa, tra le altre cose, ha detto che l’Europa deve riaccendere la fiaccola dei suoi valori, che ad esempio Giorgia Meloni ha già declinato in chiave euroatlantica. Vede questa tenaglia russa nella destrutturazione europea? E di contro, quale può essere l’elemento propulsore anche italiano ma soprattutto europeo, per evitare questa frammentazione del Vecchio Continente?

Già durante la campagna elettorale e durante i negoziati per la formazione del governo, abbiamo potuto osservare come Meloni intendesse dare al suo governo una dimensione tecno-sovranista, concludendo un patto con la tecnocrazia di Stato, con gli apparati diplomatici e militari atlantici, con l’eurocrazia e con il capitalismo italiano, europeo, garantendo un allineamento reale sull’euro e sulla guerra in Ucraina, in cambio di un’autonomia più grande nelle scelte politiche interne. Così oggi ci troviamo con un governo in cui il ministro per la Famiglia e la natalità è esplicitamente contraria all’aborto e ritiene che le unioni civili ci stiano portando “verso la fine dell’umano”, mentre Meloni dichiara di “voler guidare un governo con una linea di politica estera chiara: l’Italia è a pieno titolo, e a testa alta, nell’Ue e nella Nato…”.

La neo-premier è riuscita per ora a coinvolgere in alcuni posti chiave delle figure politiche che le permettono di collocare la sua esperienza di governo in una continuità istituzionale con il quadro europeo e internazionale, evitando di creare cortocircuiti con gli altri due partiti della coalizione. Penso al ministro degli Esteri Antonio Tajani, che è stato presidente del Parlamento europeo e che ha saputo prendere le distanze dal discorso provocatoriamente filo-putiniano di Silvio Berlusconi, o a Giancarlo Giorgetti, già ministro, ormai garante del patto tecno-sovranista dalla sua scrivania al ministero dell’Economia e delle Finanze.

È un elemento riconosciuto da Parigi?

Dopo alcune incomprensioni, credo che questo aspetto cominci a essere compreso. Molto dipenderà però dalle reazioni italiane alla visita romana del Presidente. Perché è chiaro che in Fratelli d’Italia c’è una parte importante di militanti e di esponenti politici anche di primo rango che non vedono proprio di buonissimo occhio un’alleanza o comunque una convergenza integrata con Parigi.

In che senso?

La Francia è percepita come una specie di forza ostile o comunque strutturalmente non cooperativa, fondamentalmente asimmetrica. Si tratta di una posizione che ha degli elementi anche comprensibili, ma certamente estremizzati. Possiamo osservare che la storia tra i due paesi è intessuta di incomprensioni industriali, politiche e persino di rivalità geopolitiche di lungo corso: come la questione della frontiera che passa attraverso il Monte Bianco, evocata in Senato nel discorso che ha visto Fratelli d’Italia opporsi al Trattato del Quirinale poco più di un anno fa.

È chiaro che in questo momento di ridefinizione del consenso europeo, l’interesse dell’Italia è di sedersi al tavolo, identificando i molti punti di convergenza con la Francia che le permettano di costruire un quadro europeo che le sia più favorevole.

Cosa pensa del fatto che la Francia si accorge di essere non prioritaria rispetto alla Germania?

In realtà è molto difficile rispondere a questa domanda perché la Germania sta attraversando una tempesta perfetta. Il suo sistema economico si basava su quattro pilastri: commercio mondiale aperto, una robusta domanda cinese, energia russa a basso costo, manodopera a prezzi accessibili. Con la pandemia, con la guerra in Ucraina, la mondializzazione ha cambiato ritmo. La guerra è tornata prepotentemente in Europa, il mondo è molto meno aperto, la Cina non cresce più altrettanto, il gas è diventato molto più caro ed è molto più difficile trovare energia per fare funzionare l’industria tedesca, senza dimenticare l’inflazione. Siamo in un momento in cui è proprio il modello Germania che viene completamente messo in discussione.

In questo contesto, il governo Scholz è in una fase reattiva e riflessiva: non ha ancora mostrato di essere dotato del riflesso europeo che poteva avere Merkel. Bisogna però notare che la Germania ha dei margini di spesa incomparabili: è come un ippopotamo che pensa di annegare in una piscina, quando si muove da solo solleva delle onde che possono sommergere tutti.

Si apre la possibilità di una terza via?

C’è una ricerca, anche più forte di prima, di costruzione di formule politiche europee. La Francia può essere interessata oggi a cercare, su alcuni dossier, un sostegno in Italia, anche proprio in realtà per rilanciare il motore franco-tedesco.

Come per esempio sull’Africa? È un terreno di conflitto o di collaborazione fra Roma e Parigi?

Negli ultimi mesi, la Francia è molto occupata nel lavoro di strutturazione dell’asse orizzontale del continente. Attraverso la Comunità politica europea, lanciata a Praga, Macron propone di creare un forum che possa organizzare il continente “dall’Atlantico agli Urali”. Questa iniziativa, vista da Roma, ha però un limite.

Quale?

Se si guardano i temi (dall’energia alla migrazione, dalla gioventù alle infrastrutture critiche) e la mappa, dal punto di vista italiano – ma anche francese – l’asse orizzontale non è sufficiente, bisogna completarlo con uno sforzo maggiore di organizzazione del Mediterraneo.

Certo con la guerra in Ucraina il punto focale della costruzione geopolitica dell’Europa è situato chiaramente nell’Europa centrale e orientale. Si tratta un po’ del problema del tennista che allena solo un braccio perché è quello che usa la racchetta… È nell’interesse strategico di Francia e Italia riportare il Mediterraneo al centro per equilibrare il senso della transizione geopolitica europea. Sarà difficile immaginare che si possa proporre ai cittadini europei, e in particolare ai cittadini italiani e francesi, di avere una costruzione orizzontale di una geopolitica europea che però non sappia agire e non sappia costruire delle forme di concertazione con il versante meridionale del Mediterraneo.

Al netto dell’uscita di scena del presidente Mario Draghi, non pensa che tutti i leader, Macron in testa, ma a questo punto anche Meloni, abbiano un carico maggiore di responsabilità per evitare quella destrutturazione, di cui parlavamo all’inizio, dell’Europa?

Tutti i leader italiani del decennio appena concluso, cioè da Monti fino a Draghi, passando per Renzi, Salvini o Grillo, sono arrivati a Roma con un mandato forte, fondato sulla promessa di un cambiamento radicale: sulla rottamazione, sulla rivoluzione, sulle riforme. Mi sembra che Meloni, invece, stia giocando quasi una carta opposta. Anche a causa di un contesto geopolitico e economico assolutamente precario, non si tratta di promettere un cambiamento radicale, ma di cercare di resistere agli shock che stanno arrivando. In questo la sua formula propone una soluzione al sistema italiano, che ormai pensa molto più in un’ottica di manutenzione e di “resilienza” che di trasformazione radicale e che non può fare a meno di pensare alla scala continentale come a quella della protezione.


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