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Come guarda al Medio Oriente la nuova strategia statunitense. Conversazione con Wechsler

Obiettivi, limiti e compromessi della nuova Strategia per la Sicurezza nazionale secondo Wechsler (Atlantic Council). Analisi del documento programmatico dell’amministrazione con un occhio al Medio Oriente e alle sue complessità

Questa settimana la Casa Bianca ha pubblicato la tanto attesa Strategia di Sicurezza Nazionale (Nss), documento stilato dal ramo esecutivo del governo statunitense che ha come obiettivo quello di tracciare delle linee di riferimento riguardo alla politica di sicurezza nazionale — e dunque all’interesse nazionale. Prima di quello presentato mercoledì 12 ottobre era in essere uno redatto nel 2017 dall’amministrazione Trump. Osservare le differenze e le continuità è interessante per comprendere come le visioni e le priorità statunitensi cambino nel corso del tempo.

Questo è ancora più importante se si considera che l’aggiornamento della Nss passa da una pandemia e una guerra in Europa (quella con cui la Russia ha invaso l’Ucraina): due eventi di portata storica. Il presidente Joe Biden ha descritto il nuovo testo come “una strategia a 360 gradi basata sul mondo attuale, che delinea il futuro che cerchiamo e fornisce una tabella di marcia per come lo raggiungeremo”.

Un occhio particolare, al di là del confronto per superare la Cina e contenere la Russia, e dell’impegno per tenere viva l’alleanza atlantica con l’Europa e accrescere la presenza nell’Indo Pacifico e in Africa, va al Medio Oriente. Regione complessa, tornata al centro degli affari internazionali anche a causa dello scombussolamento del mercato energetico, da sempre crocevia geostrategico fra Occidente e Oriente, abitato da leadership che intendono dare seguito al desiderio di sviluppo delle proprie collettività — anche attraverso l’acquisizione di un più proattivo standing internazionale.

La strategia pensata nel nuovo documento è efficace per affrontare le sfide che l’America si trova davanti in questo Medio Oriente in evoluzioni? Secondo William Wechsler, direttore del Rafik Hariri Center e dei programmi sul Medio Oriente dell’Atlantic Council, bisogno partire da un assunto: gli Stati Uniti sono troppo divisi in casa perché un singolo documento possa rappresentare un consenso nazionale.

Inoltre, spiega a Formiche.net, “la definizione di sicurezza è spesso stiracchiata per includere tutto ciò che una determinata amministrazione favorisce; e le strategie, a differenza di questi documenti, richiedono priorità piuttosto che elenchi di preferenze ugualmente ponderate, insieme a un allineamento chiaramente definito tra fini, modi e mezzi desiderati”.

È un ragionamento accademico, la Nss è un documento volutamente ampio: più che una strategia sembra una serie di indirizzi e trattati simili a programmi politici, un testo destinato a un pubblico interno, non una guida da fornire a coloro che devono eseguire le politiche statunitensi.

“Tuttavia — continua Wechsler, che ha avuto una carriera decennale all’interno dei dipartimenti di varie amministrazioni statunitensi, tra Pentagono d Tesoro — l’amministrazione Biden sembra aver fatto meglio della maggior parte degli altri nella stesura di un rapporto internamente coerente. L’enfasi sulle principali sfide all’estero, Cina e Russia, e all’interno (la crescita economica e la tutela delle istituzioni democratiche) emerge chiaramente. Poi però quando il rapporto va oltre questi grandi temi, spesso confonde le semplici preferenze con gli interessi vitali e non considera i compromessi che emergono necessari”.

E secondo lo studioso statunitense la sezione sul Medio Oriente ne è un esempio. Paradigmatico è il paragrafo che contiene i cinque principi guida del framework di attività statunitensi nella regione. “I cinque principi guida sembrano semplici a prima vista per i lettori americani — spiega — ma poi sollevano ulteriori domande per chi ha esperienza nella regione. Per esempio: l’impegno a sostenere i Paesi ‘che aderiscono all’ordine internazionale basato sulle regole’ include i membri dell’Opec che recentemente hanno deciso di colludere con la Russia per aumentare il prezzo globale del petrolio e contribuire così a finanziare la guerra di aggressione di Vladimir Putin?”.

La tensione che si è creata tra Washington e Riad a proposito di quella decisione — di cui gli Stati Uniti addossano gran parte delle responsabilità all’Arabia Saudita con un litigio pubblico con pochi precedenti — è un fatto di cronaca attuale destinato a poter influenzare varie dinamiche regionali. Ma Wechsler nota anche un altro elemento critico della Nss: “L’affermazione che gli Stati Uniti non ‘tollereranno’ gli sforzi di un paese per dominare un altro paese attraverso, tra gli altri mezzi elencati, gli ‘aumenti militari’, significa che gli Stati Uniti interromperanno i loro sforzi di lunga data per far progredire gli ‘aumenti militari’ dei loro partner di fronte alla minaccia dell’Iran?”

Sensibilità di primaria importanza. Da anni gli Stati Uniti stanno favorendo il rafforzamento delle capacità militari di alleati proprio come l’Arabia Saudita, anche con l’obiettivo di creare un fronte di deterrenza contro l’Iran e le sue ambizioni atomiche. Questa sponsorship americana nei confronti del fronte sunnita della faglia geopolitica regionale era anche legata a interessi connessi all’export petrolifero, ma ora che gli Usa hanno raggiunto l’indipendenza energetica la priorità è stata rimessa in discussione. E nel frattempo il rafforzamento di quel fronte ha aumentato le ambizioni iraniane, con il regime di Teheran che basa parte della sua esistenza interna sul non ritirare aliquote di scelte sovrane davanti a pressioni esterne.

Anche se si parla di reazioni dure da parte del Congresso alla mossa saudita, questo “presumibilmente non può essere il caso in cui gli Stati Uniti interrompono gli sforzi per fronteggiare l’Iran — precisa Wechsler — dal momento che solo poche frasi dopo nel documento, un altro principio elencato sostiene la necessità di ‘strutture integrate di difesa aerea e marittima’. Un chiaro caso di compromessi inerenti a una vera strategia, ma implicitamente elusi in questo documento. Inoltre, gli Stati Uniti non vogliono forse che Israele ‘domini’ Hamas e Hezbollah? Sono certo che l’amministrazione Biden lo voglia, il che evidenzia semplicemente la differenza tra un linguaggio inflazionato e la realtà delle volontà politiche”.

Più avanti, il paragrafo sul Medio Oriente promette che la diplomazia statunitense cercherà di ridurre le tensioni “ovunque sia possibile”: significa per esempio che ci sarà una normalizzazione con il presidente siriano, Bashar al-Assad? Oppure che si cercherà, un dialogo con il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah? “Sospetto di no. La Strategia di sicurezza nazionale è principalmente, se non interamente, uno sforzo di comunicazione per il pubblico interno, e queste domande possono apparire come una pignoleria. Ma ciò non fa che sottolineare il fatto che questo documento, come gli altri che lo hanno preceduto, non è una vera strategia”.

Infine, il rapporto afferma che gli Stati Uniti promuoveranno “sempre” i diritti umani. Ovviamente, nonostante la retorica, gli Stati Uniti non lo hanno “sempre” fatto in questa regione e non lo faranno “sempre” in futuro, non è così? “Aggiungo che quando si adoperano per portare avanti il loro programma sui diritti umani (un lavoro importante che dovrebbe continuare, non c’è bisogno di dirlo) gli Stati Uniti di solito non lo fanno a scapito della promozione dei loro interessi vitali per la sicurezza nazionale, anche quando le due cose sono in conflitto. Se così fosse, ad esempio, gli Stati Uniti avrebbero insistito per includere le condizioni relative ai diritti umani nell’accordo nucleare con l’Iran”.


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