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La meditazione del card. Sarah sulla crisi nella Chiesa cattolica

Gennaro Malgieri legge ultimo possente e coraggioso libro del cardinale Robert Sarah. S’intitola “Per l’eternità. Meditazioni sulla figura del sacerdote” (Edizioni Cantagalli)

Un atto d’accusa in piena regola. Uno schiaffo ai sepolcri imbiancati. La demolizione più violenta e sofferta delle giustificazioni di comodo. Tutto questo e molto altro ancora, nell’ultimo possente e coraggioso libro del cardinale Robert Sarah, uno dei principi della Chiesa che onora con la sua vita monacale e la sua condotta dottrinale. S’intitola “Per l’eternità. Meditazioni sulla figura del sacerdote” (Edizioni Cantagalli, pp.270. € 23). È una lunga lettera ai credenti ed in particolare agli ecclesiastici affinché ritrovino la strada tra le rovine di una comunità cattolica che si sta disgregando. E lo fa con il piglio del predicatore moralista settecentesco che si batteva per la difesa della Chiesa e del cristianesimo contro l’illuminismo blasfemo che riduceva la fede a pura superstizione.

Il porporato non è nuovo a “discese in campo” così irruente, eppure dolcissime nell’intento. I suoi precedenti contributi teorici sono stati tutti volti a mettere le idee a posto e a richiamare i cattolici alla coerenza nel dispiegare la loro missione. Quest’ultimo saggio non è diverso. O meglio: rincara la dose delle cose che non vanno e si rivolge ai sacerdoti, ormai sempre più sparuti, alle gerarchie ecclesiastiche che non praticano una intensa politica “vocazionale”, che si sono “mondanizzate”. E lo fa meditando sui testi di Agostino, Giovanni Crisostomo, Gregorio Magno, Bernardo di Chiaravalle, Caterina da Siena, John Henry Newman, Pio XII, Georges Bernanos, Jean-Marie Lustiger, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Papa Francesco. Lo scopo è quello di offrire risposte concrete alla crisi senza precedenti che attanaglia la Chiesa.

Il cardinale Sarah, davanti alla montante scristianizzazione ed alle esigue risposte che vengono date dalle gerarchie, vede l’ombra della notte scendere sulla vita dei sacerdoti. “Certi preti – scrive – sembrano come marinai la cui nave è stata sconquassata dalla violenza di un uragano. Annaspano e vacillano. Quando si viene a conoscenza di qualche episodio di abuso sui minori, non possiamo evitare di porci delle domande. Non si può fare a meno di avanzare dei dubbi. Il sacerdozio, il suo statuto, la sua missione, la sua autorità, sono messi al servizio di quanto c’è di peggio al mondo. Il sacerdozio è stato strumentalizzato per nascondere, insabbiare, e perfino per giustificare la profanazione dei bambini. Talvolta, la stessa autorità episcopale è stata piegata allo scopo di pervertite e distruggere la generosità di coloro che desideravano consacrarsi a Dio”.

Parole forti, dolorose, scritte presumibilmente con l’animo trafitto che non ammettono giustificazioni al fine di far finta che tutto ciò che viene denunciato non esista. “È giusto che ne venga chiesto conto”, scrive il cardinale. Ed aggiunge: “Il popolo di Dio guarda con sospetto i suoi sacerdoti. Chi non crede li disprezza e diffida di loro”. E a causa del non trascurabile motivo che alcuni hanno usato il sacerdozio “per soddisfare le proprie voglie di peccato”.

Dal momento che il sacerdozio è il bene più prezioso della Chiesa, essa deve irradiare sul mondo la luce e la santità di Dio. Ma in questo contesto, nel mondo in cui opera la Chiesa e nella decadenza dei costumi all’interno della stessa, come fare? Bisogna riscoprire il senso dell’identità sacerdotale. E a questo punto il cardinale Sarah s’inerpica su per le ascese salvifiche dei dottori della Chiesa e dei pontefici che offrono percorsi di redenzione cominciando con guardare il male in faccia, senza far finta di niente. Egli cede la parola a chi deve averla, dai Santi ai Pontefici. E ritrova in esse quel percorso identitario che è indispensabile per salvare il sacerdozio dalle miserie e dunque la comunità ecclesiastica, il mondo di Cristo. E la speranza che Cristo continuerà a donare sacerdoti alla Chiesa non lo abbandona. “La chiesa si presenta si presenta talvolta come una barca sul punto di affondare – scrive -, noi però sappiamo che Cristo è lì presente, anche se sembra dormire. Allo stesso modo, è presente nel nostro cuore di sacerdoti, anche se sembra tacere. Cristo, nostra gioia, sarà sempre presente e vi resterà per l’eternità”.

La lunga meditazione del cardinale Sarah attraverso le riflessioni di coloro che incarnano lo spirito della Chiesa citati, è un contributo ad una nuova evangelizzazione. Quella stessa che colui che divenne il più giovane vescovo immaginò di farla incominciare con le sue esili gambe dalla sua Africa.

“L’Africa è la nuova patria di Cristo”, disse Paolo VI approdando nel Continente africano il 29 luglio 1969. E Papa Benedetto XVI lo ribadì nel viaggio in quella stessa martoriata terra. Con spirito ed intendo analogo il regnante Pontefice Francesco ha aperto la prima Porta Santa a Bangui, estrema periferia del mondo, capitale della Repubblica Centroafricana. E che sia Nova Patria Christi, ce lo ricordano i presuli africani in prima linea nel difendere il diritto della Chiesa ad esistere, testimoniando spesso in maniera drammatica l’evangelizzazione dell’Africa sempre spiritualmente più viva, nonostante povertà, privazioni, persecuzioni la tengano in ostaggio. E quanto sia dinamica la pastorale in quelle terre lo ha sottolineato Papa Bergoglio al quale fanno eco dodici vescovi e cardinali africani che in un libro collettaneo, Africa (Cantagalli), ci fanno toccare con mano la freschezza del cattolicesimo africano segnato dalla fedeltà alla dottrina della Chiesa come raramente è dato riscontrare in Europa e nelle Americhe. Il volume è curato dal cardinale Robert Sarah, già prefetto della Congregazione del Culto Divino.

La sua storia, tutt’altro che banale come potrebbe essere quella di un qualsiasi ecclesiastico che ascende alla porpora secondo un percorso lineare, è narrata da lui stesso in una lunga conversazione sulla fede con lo studioso francese Nicolas Diat. Dio o niente (Cantagalli) è una memoria sulla conquista della fede e la pratica di un cattolicesimo a dir poco eroico da quando Sarah fu nominato, a soli 34 anni, arcivescovo di Conakry, capitale della Guinea, e cominciò il suo lungo braccio di ferro con il regime comunista del sanguinario Sékou Touré che dispose per lui l’arresto e la condanna a morte: entrambe disattese per la scomparsa del tiranno. Un miracolo? Nell’ottica di Sarah senz’altro. Ma anche nella percezione di chi gli era accanto e con lui proseguì la lotta per il riconoscimento dei diritti umani e della salvaguardia della dignità della persona in una regione afflitta dal tribalismo elevato a forma di potere.

Il bambino povero nato nel villaggio di Ourous in Guinea – divenuto principe della Chiesa, per volere di San Giovanni Paolo II nel 1979, creato cardinale da Benedetto XVI – dalla vicinanza alle pratiche liturgiche benedettine, ha tratto la convinzione che “il silenzio di Dio dovrebbe insegnarci quando si deve parlare e quando è meglio tacere”. Oggi la Chiesa è chiassosa, come fa intendere il porporato, e c’è bisogno di recuperare quella dimensione sacrale sulla quale si sono sovrapposte mode che hanno snaturato la stessa liturgia come strumento di comunicazione con Dio. Sarà per questo che i modernisti che popolano la Chiesa guardano a Sarah come ad un nemico della secolarizzazione. Ma il misticismo e la dottrina del cardinale guineano, – attualmente membro della Congregazione delle cause dei Santi, della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli e della Congregazione per le Chiese Orientali – hanno finora avuto ragione di coloro che con approssimazione si sono confrontati con lui uscendone piuttosto malconci. E dal recuperato silenzio, invocato dal cardinale Sarah dovrebbe muovere il sacerdozio rinnovato, non diversamente da quanto i monaci, anch’essi sempre più ridotti di numero almeno in Europa, praticano e c’insegnano. Ecco, ciò di cui la chiesa ha bisogno, per dirla con Bernardo di Clairvaux: della santità dei sacerdoti. È questo il fine che il cardinale Sarah si propone. Ed è questo che i cattolici che non hanno smarrito la strada, sperano ardentemente.



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