L’ex ministro della Dc: “Va evitato il sovranismo costituzionale: bisogna rassicurare il Paese e i mercati esteri. Ancoraggio all’Unione europea”. Il Popolarismo? “È scomparso. E il Pd non ha saputo raccogliere questa eredità”
“Per la formazione della nuova squadra di governo, Giorgia Meloni e il centrodestra dovranno fare particolare attenzione a scegliere bene il ministro degli Esteri e quello della Difesa”. Sono giorni frenetici, di caos. Dall’altra parte della cornetta, però, c’è uno che ha le idee molto chiare. Gerardo Bianco, ex ministro dell’Istruzione nel sesto governo Andreotti, democristiano infaticabile e lucido osservatore della politica interna. Dall’alto delle sue nove legislature e dei vari incarichi ricoperti.
Bianco, Farnesina e Viminale sono sempre stati ministeri chiave.
Ora lo sono ancor di più, specie nella compagine del costituendo esecutivo. È necessario che chi ricoprirà questi due dicasteri abbia credenziali e competenze rassicuranti per i mercati internazionali e per il Paese. Non solo: occorrerà ribadire un saldo ancoraggio al perimetro europeo. Francamente, su questo punto, non mi pare che la coalizione vincente sia partita con il piede giusto.
Perché?
L’idea di far prevalere il diritto italiano su quello europeo non mi pare che si orienti in questa direzione. Per cui, penso si debba fare un passo indietro su questo versante. Bisogna evitare in tutti i modi di evitare la strada del sovranismo costituzionale. L’autonomia regionale, che la Lega chiede a gran voce, rappresenta un’insidia. Anche perché questa idea si trascina dietro altre riforme costituzionali che il centrodestra ha in mente: il presidenzialismo e, appunto, la prevalenza del diritto nazionale su quello comunitario.
Tra gli altri, è spuntato il nome di Antonio Tajani.
Tajani è un profilo buono, una persona che nelle istituzioni europee ha maturato una profonda competenza. Ed è un volto rassicurante per l’Ue. Ma anche lui, però, dovrà rispondere alla linea che verrà impressa dal prossimo presidente del Consiglio.
Lei è stato interprete di un popolarismo, nell’accezione sturziana del termine, che ora sembra latiti nello scenario politico. Sbaglio?
Il popolarismo sta attraversando, ormai da anni, una lunga fase di afasia figlia di quella scelta sciagurata che portò allo scioglimento di un partito che, alla fine degli anni ’90, raggiungeva punte del 12%. Oggi nessuno ha raccolto realmente quella tradizione, quegli ideali, quei valori. Salvo sporadici casi di singoli esponenti che però, chiaramente, non possono essere rappresentativi e tanto meno determinanti.
Neanche il Pd ha raccolto parte di quel testimone?
Il Pd è un partito sbagliato. Figlio di una fusione a freddo basata su congetture politologiche. Alla tradizione del popolarismo, il dem hanno preferito una sorta di l’illuminismo libertario. Distruggendo, peraltro, ciò che rimaneva dell’Ulivo.
Si è aperta una grande riflessione, dopo la sonora sconfitta elettorale. Quale deve essere il profilo del prossimo segretario?
Non è un problema di segretario, è un problema di fondo. Ab origine. Il Pd sta assumendo posizioni sbagliate, addossando – in maniera ben poco signorile – tutte le colpe a Enrico Letta. Un leader che, senz’altro ha commesso degli errori, ma al quale non si può imputare l’intera responsabilità della sconfitta. C’è oggi chi chiede addirittura di sciogliere il Pd. Gli stessi che distrussero il Ppi. Ma sarebbe un altro clamoroso errore. Al Pd serve una dottrina, una filosofia.
Come vedrebbe il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini a capo dei dem?
È senz’altro un bravo amministratore, ma non sarebbe risolutivo.