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A chi sono rivolte le parole del papa contro l’esclusione dei migranti. Scrive D’Ambrosio

Forse ci siamo abituati, in senso negativo, alle parole di papa Francesco sull’accoglienza degli ultimi, dei poveri e dei migranti. Ma lui continua a lasciarci la domanda. A chi? Prima di tutto a preti e vescovi cattolici, a fedeli laici impegnati, a tutti i credenti in Cristo e – anche – ad altri credenti e uomini e donne di buona volontà. Lascia la domanda a tutti. La riflessione di Rocco D’Ambrosio

“Oggi [domenica 9 ottobre, ndr] nel giorno in cui Scalabrini diventa santo, vorrei pensare ai migranti”, ha detto il papa nell’omelia. “È scandalosa l’esclusione dei migranti, anzi, l’esclusione dei migranti è criminale, li fa morire davanti a noi e così oggi abbiamo il Mediterraneo che è il cimitero più grande del mondo. L’esclusione dei migranti – ha detto papa Francesco – è schifosa, è peccaminosa, è criminale. Non aprendo le porte a chi ha bisogno non li escludiamo, li mandiamo via, nei lager, dove sono sfruttati e venduti come schiavi. Fratelli e sorelle oggi pensiamo ai nostri migranti, quelli che muoiono. E quelli che sono capaci di entrare, li riceviamo come fratelli o li sfruttiamo? Lascio la domanda soltanto”.

Forse ci siamo abituati, in senso negativo, alle parole di papa Francesco sull’accoglienza degli ultimi, dei poveri e dei migranti. Ma lui continua a lasciarci la domanda. A chi? Prima di tutto a preti e vescovi cattolici, a fedeli laici impegnati, a tutti i credenti in Cristo e – anche – ad altri credenti e uomini e donne di buona volontà. Lascia la domanda a tutti. Ne ha diritto? Fa bene? Queste sono domande di quelli che vogliono insegnare al papa il suo mestiere. Le domande “lasciate”, invece, hanno una carica profetica che può scuotere solo chi non è saturo di risposte, saccenti e spocchiose, rancorose ed escludenti.

Le domande sono “lasciate” in contesti che vedono luci e ombre su cui è imperativo morale riflettere. Le luci: una straordinaria capacità di pronto intervento, mobilitando operatori, risorse e mezzi senza nessuna remora per accogliere i migranti, da parte di credenti e persone di ogni cultura e sensibilità sociale; un’attenzione di diverse istituzioni pubbliche, specie locali, al fenomeno migratorio; una lenta trasformazione da mentalità chiusa e egoista a mentalità aperta e accogliente, un po’ più saggiamente globale.

Le ombre: il razzismo e le tante forme di chiusura crescenti; i luoghi comuni sciocchi e infondati sulle migrazioni; lo scaricabarile nell’assumersi le responsabilità dell’accoglienza e dell’inserimento dei cittadini stranieri; la cultura razzista di settori politici, di destra e non; la resistenza di alcuni ambienti culturali e politici – quali pezzi di sinistra e dell’ambiente cattolico – a promuovere e testimoniare accoglienza e solidarietà. Fino ad avere politici di sinistra che sono più razzisti di altri o pastori cattolici che predicano contro i migranti. In questo quadro, per quanto non possa fare più tanto “notizia”, il papa continua a “lasciare” le sue domande.

Esiste anche in Italia una forma di fede cattolica, che è infastidita da queste domande. È quella pseudo religiosità nutrita di ideologie destrorse e razziste e di una religiosità popolare che ha più di magico e superstizioso che di autentica devozione. Riguardo alla ideologizzazione della fede: la tendenza è presentare un sapere compatto, indiscutibile, che è distintivo della propria identità proprio perché viene accettato in toto e senza discutere; che non permette domande e non tollera dubbi o sottolineature diverse; che mortifica la ricerca intellettuale in schemi rigidi e sterili. Sulla religiosità popolare: se la devozione popolare non è autentica riduce la fede a spettacolo liberatorio; preferisce un dio usato come dispensatore di guarigioni e non Dio Padre; insegue gli atti magici, con richieste di denaro per creare vere e proprie imprese a fine di lucro, spesso anche mafiose.

Su queste derive cattoliche, tutti, pastori e laici credenti, abbiamo il dovere, secondo le personali responsabilità, di dichiarare che tutto questo è negazione del Vangelo di giustizia e pace. Dalle prime comunità cristiane a don Tonino Bello, dai santi della carità ai santi ultimi, Giovanni Battista Scalabrini e Artemide Zatti, la linea è sempre la stessa, cioè quella del Buon Samaritano, che soccorre, a prescindere da fede e cultura del malcapitato o povero. Essere cristiani vuol dire farsi prossimo: questo non è un invito, ma è una opzione fondamentale; chi la nega non è cristiano.

“L’esclusione dei migranti – ha detto papa Francesco – è schifosa, è peccaminosa, è criminale”. Se condividiamo ciò non possiamo far altro che, con il cuore e la mente, culturalmente e politicamente, trovare una soluzione alle migliaia di persone che stanno sbarcando. Perché questa è la fede cristiana: non inneggiare a chi nega la dignità del povero e bisognoso, ma rimboccarsi le maniche per far sentire a casa chi fugge per fame di pane, di libertà e di sicurezza ambientale e sociale. Non a caso don Tonino Bello ripeteva: “Non sono i coperti che mancano sulla mensa; sono i posti in più che non si vogliono aggiungere a tavola”.



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