In un contesto mondiale che calpesta e porta indietro i diritti delle donne, attraverso varie forme, ricercare una dimensione nuova e diversa è l’orizzonte di progresso, per una società vincente. Richiede competenza e determinazione, lungimiranza e empatia, passione e perseveranza
Riflettori sull’Italia per il nuovo governo guidato da una donna, Giorgia Meloni, per la prima volta nella storia della Repubblica italiana. Sei le donne, su ventiquattro ministri.
Eugenia Roccella al ministero senza portafoglio “Famiglia, natalità e pari opportunità” ha affermato: “Per costruire il futuro dobbiamo sapere cosa vogliamo conservare dell’umano” e promette di dare alla maternità prestigio e centralità.
In Europa, la neo incaricata presidente del Consiglio Meloni condivide la leadership “al femminile” con le premier di Danimarca, Estonia, Islanda, Finlandia, Lituania e Serbia. E, in Francia, una donna è primo ministro in un sistema presidenziale “al maschile”. Senza precedenti ancora Spagna, Olanda, Bosnia-Erzegovina, Lussemburgo, Irlanda, Repubblica Ceca, Ungheria e Albania.
Le più longeve donne “al comando” Angela Merkel, dal 2005 per 16 anni al governo tedesco e Margaret Thatcher, dal 1979, prima premier donna nel Regno Unito, fino al 1990.
In una sfavorevole congiuntura internazionale, nella più profonda crisi sanitaria, economica, energetica, ambientale e geopolitica che richiede urgenti azioni, si guarda, così, tra curiosità e pregiudizi, al nuovo governo anche su temi che investono la coscienza individuale, civile e collettiva. Violenza, aborto, procreazione assistita, diritti delle donne nella società civile e nel mondo del lavoro. Eutanasia e unioni civili.
Cosa attende, ora, le donne italiane da colei che ha rotto, con determinazione e in solitudine, uno dei templi della subalternità femminile? È una sfida non per sole donne, nell’incertezza del domani.
Le donne lottano, da sempre, attraverso rivoluzioni a volte silenziose, a volte sconosciute, a volte a rischio della propria vita, per non arretrare in un percorso che investe la vita pubblica e privata. Ma, come rilevato dalle attuali analisi economiche e ricerche statistiche, la valorizzazione del ruolo delle donne è ormai un’esigenza ineludibile per lo sviluppo economico e l’innovazione del nostro Paese.
Risorsa di progresso per una società civile che vada oltre un’uguaglianza formale e ponga al centro la persona umana su un piano al quale solo la consapevolezza individuale può dare accesso. Attraverso il riconoscimento di meriti e valori che non ha genere. Per non lasciare spazio a subdoli meccanismi di sopraffazione nei luoghi di lavoro. A violenza, fisica e psicologica, nella socialità, nelle relazioni interpersonali o all’interno delle proprie case. Una conquista di autentica “dignità sociale” in tutte le espressioni della vita, come recita la Costituzione italiana. Nel futuro che non dimentica le donne, l’Europa ha assunto un ruolo guida.
La strategia di un’Europa garante della parità di genere è a tutto campo, con obiettivi e azioni da realizzare entro il 2025. Per combattere violenza, stereotipi sessisti, rimuovere divari nel mercato del lavoro, retributivi e pensionistici, raggiungere livelli di equilibrio nei settori economici, processi decisionali e politica.
Obiettivi politici ma per instillare progressi sostanziali contro divari “quantitativi” e “qualitativi”.
“La parità di genere è un principio fondamentale dell’Unione Europea, ma non è ancora una realtà. Negli affari, nella politica e nella società nel suo insieme, possiamo raggiungere il nostro pieno potenziale solo se utilizziamo tutto il nostro talento e la nostra diversità”, ha dichiarato Ursula von der Leyen presentando il “Piano 2020-2025” che ha dichiarato battaglia alle disuguaglianze tra uomo e donna.
E la Commissione europea già guarda al futuro, con azioni di contrasto al gap di genere. Tra queste, una proposta di regolamento sull’intelligenza artificiale vorrebbe scongiurare il rischio che anche gli algoritmi possano finire per discriminare in maniera sistematica le donne.
In Italia, secondo il rapporto 2022 di AlmaLaurea, con il supporto del Ministero dell’Università e della Ricerca, la componente femminile registra performance pre-universitarie e accademiche migliori di quelle maschili. Minore, invece, il ritorno nel mondo del lavoro, in termini di competenze, a causa del basso tasso di occupazione femminile.
Secondo il report Eurostat, solo il 53,2% della popolazione femminile del nostro Paese risulta occupato. E appena il 3% sono le donne ceo (amministratore delegato) contro il 26% della Norvegia, il 18% della Repubblica Ceca e 14% della Polonia, secondo quanto emerge da uno studio dall’associazione “European Women on Boards”.
Di pari passo va la discriminazione retributiva (“gender pay gap”), con un divario di genere del 20% su scala mondiale e del 16% nell’Unione europea, con differenze significative tra i vari Paesi.
Secondo il “Rapporto globale sul divario di genere 2022” del World Economic Forum, l’Italia si colloca al 63esimo posto su 146 paesi nell’indice globale sulla base dei fattori economia, istruzione, salute e politica. Una posizione in ulteriore discesa, tuttavia, se si valuta esclusivamente il sotto indice riferito agli aspetti economici e di opportunità. La posizione dell’Italia, al 110emo posto, è in fondo alla classifica dei paesi europei e segue Stati come Angola, Nicaragua e Tajikistan.
“È tempo di andare avanti”, aveva dichiarato a inizio anno la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, prima donna presidente dell’organismo europeo.
Tra gli obiettivi: approvare, entro il 2022, una direttiva, ferma dal 2012, per aumentare il numero di donne nei consigli di amministrazione delle aziende europee quotate in borsa. E così è stato.
Più donne ai vertici delle aziende. È il recente traguardo raggiunto con l’approvazione, da parte del Consiglio Ue, della direttiva “Women on Boards” proposta dalla Commissione per portare le società quotate a nominare almeno il 40% di donne tra gli incarichi di amministratore non esecutivo o il 33% di tutti i ruoli nei consigli di amministrazione. In attesa dell’approvazione dell’Europarlamento e pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
E per l’Italia?
“Gli Stati membri dovranno recepire la direttiva entro il 2026 ma, dal punto di vista sostanziale, l’obbligo normativo previsto dalla direttiva vige dal 2011”, afferma Florinda Scicolone, giurista d’impresa. “Per la prima volta, l’Italia ha il primato di aver fatto da apripista, da esempio in materia di parità di genere aziendale. L’Unione europea è arrivata con notevole ritardo nella materia ma ora tale approvazione rafforza e pone in rilievo che la parità di genere sulla base di uno sviluppo sostenibile deve essere al centro della governance. In Italia, la Legge Golfo-Mosca del 2011 ha acceso il motore del cambiamento ed ha prodotto in tre mandati un risultato del 42,8% di presenze femminili nei board dei cda delle quotate”, conclude Scicolone.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha, inoltre, introdotto la “certificazione della parità di genere” nel Codice delle pari opportunità. Un documento, con premialità per le aziende, ispirato ai principi dell’Agenda ONU 2030 e della Strategia per la Parità dell’Unione Europea. Misura efficace, si spera, per un percorso sistemico di cambiamento anche culturale all’interno delle organizzazioni.
Le innovazioni normative nazionali potranno dare concretezza ad un’emancipazione femminile dal cammino tuttora impervio?
Unità e condivisione non solo formali sono l’auspicio di salvezza per un’inversione di rotta, nel nostro difficile tempo. Un autentico cambiamento culturale per attuare, nella realtà, le leggi e le necessarie politiche sociali. Con le norme della morale e del sentire.
In un contesto mondiale che calpesta e porta indietro i diritti delle donne, attraverso varie forme, matrimoni forzati, mutilazioni e abusi sessuali, femminicidi e ingiustizie socio-economiche, ricercare una dimensione nuova e diversa è l’orizzonte di progresso, per una società vincente. Richiede competenza e determinazione, lungimiranza e empatia, passione e perseveranza. Per le donne, si chiama tutto “amore”.
Quali prospettive, dunque, in un orizzonte denso di nubi per un’umanità smarrita? Non resta che attendere. Con fiducia.