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Se il Pd vuole rifondarsi. Tattiche e strategie secondo Sisci

Che partito vuole essere il Pd? Vuole rinverdire i fasti di una sinistra massimalista oppure vuole pensare di essere uno spazio moderato? O essere a cavallo a tutti e due, e come? Quali sono i valori della sinistra? Non possono essere una rinfrescata del vecchio comunismo, devono essere qualcosa che risponde al terremoto di punti di riferimento in corso. Il commento di Francesco Sisci

C’è aria di rifondazione nel Pd. Questa volta pare più seria, anche se non è la prima volta. Quindi bisogna ripensare a cosa è successo per essere arrivati qui. Se non si capisce l’origine dell’errore non si sa cosa curare.

Di seguito alcune osservazioni esterne con elementi tattici e strategici.

Quelli tattici. Nel complesso la “sinistra”, quello che sia o che vuole riconoscersi come tale, ha preso più voti della coalizione di centrodestra. Se fosse andata unita avrebbe probabilmente vinto le elezioni. Questo dato è importante per cominciare a capire di cosa stiamo parlando. Una buona metà dei votanti del Paese si pongono a sinistra.

L’unità a sinistra è stata spezzata per prima cosa dalla difficoltà del leader del Pd Enrico Letta e quello di Italia Viva Matteo Renzi di accordarsi.

Letta pensava che Renzi da solo non avrebbe preso il quorum e sarebbe sparito dalla scena politica. Non ha pensato che Renzi a quel punto era diventato come il famoso Davide contro Golia, vincente in ogni caso, anche da sconfitto.

Questa posizione politica ha poi spostato Carlo Calenda e ciò ha evidentemente fatto franare tutto.

Letta non si fidava di un accordo con Renzi. Probabilmente pensava: se porto Renzi dentro il Pd poi Renzi si riprende tutto il partito e mi caccia.

Quindi, in sostanza, pur di tenere Renzi fuori e non mettere a rischio la sua posizione Letta ha ucciso tutta la sinistra e dato il potere a Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia. Lei, nonostante le sue tante frizioni con gli alleati, ha mantenuto un accordo elettorale.

Se ci fosse stato l’accordo Letta-Renzi, la posizione del M5S sarebbe stata molto diversa.

Messa così è forse iniquo per Letta. Renzi e Calenda hanno una tradizione di grandi “mancatori di parola”, come li chiamava il poeta Roberto Roversi.

In politica c’è solo la parola che vale, naturalmente il tradimento è parte del gioco, ma se come succede in Italia diventa troppo frequente, addirittura, quotidiano, allora non c’è più alcuna base politica. Quindi Letta ha le sue ragioni per non essersi fidato di Renzi, ma ciò non toglie la mancanza di visione del tutto.

Forse il Pd deve ripartire da questo errore tattico. Che fare? Se si vuole che la trama tenga almeno un po’, occorre pensare alla strategia e non alla tattica.

Infatti è il puro pensiero tattico che fa emergere e rende insostenibile il mercato delle vacche quotidiano. Lo scambio di favori è giustificabile se c’è un pensiero alto che lo sostiene. Senza di esso è un’asta continua sul nulla.

L’elemento strategico deve rispondere alla domanda: che partito vuole essere il Pd?

Vuole rinverdire i fasti di una sinistra massimalista oppure vuole pensare di essere uno spazio moderato? O essere a cavallo a tutti e due, e come?

Giorgia Meloni si è posta una questione radicale, su suggerimento di Marcello Pera, il problema dei valori della nuova destra. La risposta, da quello che si evince dal discorso programmatico alle Camere, è stata: vogliamo una destra che sia liberale e democratica con Dio, patria e famiglia coniugati in termini moderni.

Quali sono i valori della sinistra? Non possono essere una rinfrescata del vecchio comunismo, devono essere qualcosa che risponde al terremoto di punti di riferimento in corso.

Cioè, in termini strategici, se il Pd non risponde chiaramente a questa domanda è difficile che esca dal suo labirinto di ricatti tattici mossi da ambizione ed ego. Ambizione ed ego sono elementi essenziali della politica, certo, ma senza strategia sono vuoti a perdere.

I nuovi M5S possono essere un punto di riferimento ideale? Dipende da cosa si vuole. La promessa di reddito senza lavoro, di gratuità e piccoli privilegi in cambio del voto, non appare una fondazione valoriale ma la popolarizzazione del mercato delle vacche.

Sembra la teorizzazione di: visto che voglio il potere per farmi i fatti miei e avere il vitalizio, a voi che mi date il voto do una paghetta, un redditino, minore ma parallelo al mio vitalizio.

Pare la teorizzazione del saccheggio dello Stato, la modernizzazione delle mille rivolte popolari che assaltavano le case dei ricchi, le depredavano e poi erano soffocate dalla reazione perché arenate dalla fame, perché dopo avere distribuito il pane esistente nessuno riusciva più a produrne di nuovo. Infatti, a dividere la ricchezza sono bravi tutti a generarla no.

Il passato successo di Marx nelle sue derive totalitarie o socialdemocratiche arrivava non solo dalla promessa di distribuire ricchezza ma soprattutto di essere anche capace di generarla in modo equo. Marx irrideva il socialismo straccione anti-capitalista. Oggi si vede riaffiorare proprio quel socialismo straccione. Da qui vuole ripartire il Pd tanto orgoglioso delle sue radici marxiste?

Il tramonto del fascino marxista è derivato dalla progressiva difficoltà a spiegare come oggi si possa generare ricchezza in modo equo.

Forse da qui una sinistra nuova dovrebbe ricominciare. È uno sforzo di ideazione serio e profondo, ma non ci sono sconti.

 

 



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