In Europa si parla già da un decennio di politiche a sostegno della piccola e media impresa. Nel 2009 è stato emanato lo Small business act for Europe. Nel 2011 il Parlamento ha approvato il cosiddetto “Statuto delle imprese”, praticamente all’unanimità tra gli applausi di deputati e senatori. Allo Statuto non è mai stato dato seguito. L’analisi di Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata
Il tessuto economico dell’Italia poggia su di un sistema diffuso di piccole e medie imprese (Pmi), che costituisce una risorsa imprescindibile in termini di potenzialità di occupazione e sviluppo. L’importanza di una politica a sostegno delle Pmi non può sfuggire al prossimo governo come occasione di incidere sui tassi di crescita flebili del Paese. Non sarebbe la prima nazione a farlo, anzi.
Dal lontano 1953 negli Stati Uniti, a seguito dell’approvazione dello Small business act, è stata costituita la Small business administration (Sba) con il compito specifico di “aiutare e assistere” le piccole imprese del Paese. La Sba è fondata sul riconoscimento che solo con il completo e libero accesso alla libera concorrenza il sistema americano possa ottenere lo sviluppo e la sicurezza del Paese.
Tuttavia vi si asserisce anche come tale concorrenza possa essere pienamente realizzata solo mantenendo, incoraggiando e sviluppando il potenziale di capacità della piccola impresa: “È politica dichiarata del Congresso che il governo debba aiutare, consigliare, assistere e proteggere, per quanto possibile, gli interessi delle piccole imprese al fine di preservare la libera impresa competitiva”.
Le funzioni svolte all’interno della Sba riflettono proprio l’enfasi per quelle aree in cui più forte è il deficit di partenza rispetto alla grande impresa: appalti pubblici, regolamentazione, credito e organizzazione. La Sba tende a ridurre il gap di partenza strutturale riservando alle piccole imprese quote negli appalti pubblici, abbattendo la regolamentazione economicamente costosa, fornendo garanzie nei prestiti e formando all’internazionalizzazione.
In Europa si parla già da un decennio di politiche a sostegno della piccola e media impresa. Nel 2009 è stato emanato lo Small business act for Europe, dopo il quale i singoli Stati membri hanno iniziato a compiere i primi passi in una sorta di recepimento dello Sba europeo. Esso si è in particolare tradotto nell’approvazione da parte del Parlamento italiano nel 2011 del cosiddetto “Statuto delle imprese”.
Questo si pone come obiettivo, tra gli altri, quello della “progressiva riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese, in particolare delle micro, piccole e medie imprese” nonché “la partecipazione e l’accesso alle politiche pubbliche attraverso l’innovazione, quale strumento per una maggiore trasparenza della Pubblica amministrazione”, il sostegno pubblico, attraverso “misure di semplificazione amministrativa, alle micro, piccole e medie imprese, in particolare a quelle giovanili, femminili e innovative”.
Tuttavia allo Statuto delle imprese, approvato praticamente all’unanimità tra gli applausi di deputati e senatori, non è mai stato dato seguito. Il testo prevedeva che ogni 30 giugno il governo presentasse al Parlamento il cosiddetto disegno di legge annuale per le Pmi. Nessun governo dal 2011 ad oggi ha mai presentato tale essenziale documento di cornice di politica industriale.
Non sorprende che l’Italia sia valutata dall’Ue tra gli Stati membri più carenti quanto a performance rispetto allo Sba europeo. In particolare l’Italia è ultima, secondo i dati dell’Ue, quanto a attenzione alle Pmi negli appalti pubblici. Gran parte di questi esiti sono dovuti alla crescente enfasi degli ultimi governi italiani rispetto alla centralizzazione delle gare, che porta a far crescere drammaticamente la dimensione media degli appalti pubblici.
In tal modo il potenziale di crescita delle Pmi è svilito e reso praticamente impossibile. Si sostiene spesso che la centralizzazione generi risparmi ma è dimostrabile come basti investire in formazione di stazioni appaltanti meno grandi (per esempio a livello provinciale) per ottenere risultati migliori rispetto alla centralizzazione senza danneggiare le Pmi. È tempo che finalmente un governo cominci a pensare in grande, pensando alla piccola. Piccolo non è brutto e crescere è bello: partiamo da qui.
*Questo articolo è apparso sul numero di ottobre 2022 della rivista Formiche