Nell’incertezza e insicurezza oggi dominanti il problema dell’Italia da un punto di vista economico rimane quello della crescita, insieme a quello dell’equità che va ricercata anche in una politica della spesa capace di fornire servizi pubblici efficienti a tutti. Per questo bisogna muoversi in un quadro internazionale in cui l’Unione europea sia la stella polare delle nostre scelte. Il testo di Luigi Paganetto, che anticipa il documento programmatico del Gruppo dei Venti
Il ragionamento sui nodi da sciogliere per combattere la crisi in atto deve necessariamente partire da alcune premesse. In primo luogo le esigenze del Paese vanno considerate nell’ottica dell’intera legislatura, perché la crisi richiede risposte legate a un programma pluriennale. È essenziale intervenire sia sull’emergenza energetica (si pensi alla questione bollette) sia sui temi di lungo periodo, in un’ottica pluriennale (si pensi ai tempi e alle modalità della transizione energetica).
Dopo la scelta delle sanzioni alla Russia bisogna anche essere disposti a sostenerne i costi, pur nella consapevolezza che misure diverse hanno efficacia differente. Nell’incertezza e insicurezza oggi dominanti il nostro problema rimane comunque quello della crescita, insieme a quello dell’equità che va ricercata, oltre che nella redistribuzione del reddito, in una politica della spesa capace di fornire servizi pubblici efficienti a tutti. Bisogna operare in un quadro internazionale in cui l’Unione europea sia la stella polare delle nostre scelte, in un mondo in cui sono cambiati gli equilibri commerciali e finanziari preesistenti. Sui temi europei occorre operare perché le nuove regole di stabilità e del Fiscal compact siano compatibili con la ripresa dello sviluppo.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, Pnrr, infine, rappresenta un solido punto di riferimento e reintroduce nel nostro Paese un mix tra piano e mercato. Un salto di crescita e produttività ne rappresenta il principale obiettivo. Non è necessario né opportuno rinegoziare il Pnrr anche se non va considerato alla stregua di una “tavola della legge”. Nei prossimi mesi dovremo affrontare una recessione che si preannuncia severa. Dal momento che manca una policy Ue ad hoc, la scelta implicita è quella di accettare un riaggiustamento dell’economia attraverso una caduta della domanda.
È per questo che, mentre si provvede a interventi di sostegno a favore dei più colpiti dalla crisi e si esercita una spinta per un intervento europeo, occorre allargare l’area della domanda estera con un’azione in sede europea e con una spinta ulteriore sugli accordi commerciali preferenziali. L’attenzione rivolta ai Paesi emergenti, evitando la logica dei blocchi contrapposti, al Mediterraneo e all’Africa è essenziale, anche perché il Mediterraneo sta riassumendo la sua centralità sia dal punto di vista energetico sia commerciale. La politica attuale è figlia dell’esigenza di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia, tagliando le quantità di gas che importiamo da lì e tentando, così, di ab bassare il prezzo. La diversificazione delle fonti di approvvigionamento del gas è un’azione importante oltre che necessaria (e lo sarebbe stata anche per il passato).
Un certo sollievo alle bollette, oltre che dalla tassazione degli extra profitti, può venire dall’adozione di una regola che eviti il trasferimento del prezzo del gas sulle bollette per la parte in cui la produzione di energia elettrica non derivi dall’uso del gas. Il rispetto dei vincoli di bilancio impone che l’impegno pubblico a favore di famiglie e imprese sia limitato a nuclei a basso reddito e piccole aziende. È tuttavia solo attraverso decisioni europee che si può affrontare in maniera efficace il problema. In prospettiva è chiaro che la soluzione è quella di un mercato comune europeo dell’energia. Serve in ogni caso una strategia per l’energia in cui siano definiti il ruolo del gas, delle rinnovabili e delle altre fonti di energia nella transizione ecologica, capace di coniugare ambiente e sviluppo.
L’inflazione genera, per via soprattutto dell’aumento dei prezzi delle materie prime, una tassa occulta che, nei rapporti di scambio, si aggiunge alla riduzione del potere di acquisto delle famiglie e crea serie difficoltà a quelle imprese che non possono trasferire sui prezzi il peso dell’inflazione. Dovremo fronteggiare tutto questo in un quadro tendenzialmente recessivo, in presenza di importanti aree di sofferenza sociale. Tutto ciò in presenza di severi vincoli di deficit e di debito.
La strada da battere è quella della ripresa della crescita attraverso un impegno a favore dell’innovazione. Una politica economica efficace deve mettere al centro dell’attenzione la propensione delle imprese a innovare in tutti i settori e utilizzare tutti gli strumenti necessari, dalla politica della concorrenza, ai rapporti con il mondo della ricerca, agli incentivi previsti da Industria 4.0. Ciò significa che è indispensabile un programma di politica industriale. È da tempo ormai che l’Unione europea ha scelto questo indirizzo, come dimostrano i programmi per i microchip e per l’auto elettrica. La transizione ecologica e le risorse che le sono destinate nel Pnrr rappresentano una straordinaria occasione d’investimento in innovazione.
Una strada che non può essere percorsa senza chiamare in causa il nostro Sistema di Welfare. Il tentativo di legare reddito di solidarietà e politiche attive del lavoro, fatto con il reddito di cittadinanza, non ha funzionato, anche se va riconosciuta l’esigenza di mantenerne la parte di contrasto alla povertà. Certo, insieme al salario minimo può essere previsto il sostegno pubblico dei redditi da lavoro più bassi. Una misura che oltre a beneficiare gli interessati avrebbe effetti positivi sul Pil. Il vero percorso da intraprendere è quello di una politica della spesa capace di offrire servizi pubblici di qualità a tutti, dalla scuola alla sanità, passando per i trasporti. Solo così si può realizzare l’equità che deve accompagnare lo sviluppo. Occorre poi investire decisamente, come peraltro previsto dal Pnrr, sulla formazione di chi si trova o verrà a trovarsi temporaneamente fuori dal mondo del lavoro.
Il debito pubblico accumulato dal nostro Paese finisce inevitabilmente per gravare soprattutto sui giovani. Questo gravame va contrastato investendo a favore delle nuove generazioni. È, d’altronde, quello che indica anche il NextGen Eu. Per rendere esplicita e misurabile questa azione si potrebbe creare una “contabilità della spesa pubblica a favore dei giovani”. L’Europa ha scelto di considerare la coesione come prioritaria per definire gli obiettivi dei Piani nazionali e dunque anche del Pnrr, e questo è molto importante. Ciò ci consente di guardare al Piano nazionale di ripresa e resilienza come a un’occasione per recuperare il downgrading delle nostre regioni rispetto alle regioni europee che si è verificato nell’ultimo decennio.
In questo quadro, non funziona l’idea prevalente degli anni passati di un nord che trascina il meridione. Ben fa il Pnrr ad assegnare una quota del 40% del totale delle risorse disponibili alle aree del Mezzogiorno. Una strategia da adottare è quella di utilizzare la collocazione geografica come fattore determinante della nostra competitività. Il punto è che il Mediterraneo può rappresentare un’area attraverso la quale tutto il Paese, da nord a sud, può realizzare una nuova fase della sua crescita. La questione demografica è centrale. È dal 2014 che la nostra popolazione diminuisce.
Nelle proiezioni dell’Istat al 2050 si prevede che gli anziani saranno pari a tre volte. Sono dati che fanno nascere preoccupazioni circa l’offerta di lavoro disponibile nel futuro. Questo avrebbe rischi per lo sviluppo anche perché i giovani sono portatori di nuove conoscenze che aumentano la produttività. Non si sottolinea mai abbastanza che l’impegno sulla scuola è il più importante per rimettere in moto l’ascensore sociale. Va tenuto presente che oggi spendiamo quattro volte di più per le pensioni che per la scuola. L’investimento sulla scuola è una grande opportunità, nel momento in cui abbiamo le risorse necessarie per ridurre gli abbandoni e aumentare in maniera significativa il numero di coloro che realizzano il livello “terziario” dell’istruzione. È preziosa la scelta di valorizzare e accrescere il numero degli Istituti tecnici superiori, Its, e di puntare sulla formazione nelle discipline Stem cui il Pnrr destina specifiche risorse.
(Articolo estratto dalla rivista Formiche di ottobre 2022)