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Putin, l’atomica e l’uso distorto della storia

L’uso delle atomiche americane in Giappone nel 1945 giustifica le minacce russe di usare armi nucleari in Ucraina nel 2022? Il discorso di Putin e le richieste di Kadirov manipolano la storia, innanzitutto perché allora gli Stati Uniti aggrediti le lanciarono per chiudere una guerra, mentre la Russia aggressore vorrebbe riaprirla. Se la Russia ha ancora duemila atomiche tattiche, dieci volte più degli Usa, chi è che usa il nucleare per intimidire il mondo intero? Ne ha parlato Gregory Alegi, docente di storia e politica degli Usa alla Luiss

“Gli Stati Uniti sono l’unico Paese al mondo ad aver usato due volte l’armamento nucleare, distruggendo le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Tra l’altro, hanno anche creato un precedente”. Con queste parole Vladimir Putin ha adombrato il ricorso alle armi atomiche da parte russa. “E c’era un solo obbiettivo: come nel caso dei bombardamenti nucleari in Giappone, intimidire il nostro Paese e il mondo intero”.

La dichiarazione, presto rinforzata dal capo dello Stato ceceno Razman Kadirov, ha innalzato la tensione e alimentato infiniti dibattiti sul rischio di escalation della “operazione militare speciale” lanciata il 24 febbraio scorso. Sulla probabilità effettiva, le conseguenze (militari, ambientali e politiche) e le eventuali risposte occidentali sono stati versati fiumi d’inchiostro, ed è inutile ripeterli. In compenso, nessuno sembra essersi chiesto quanto il senso di queste parole, infilate nel discorso per l’annessione delle quattro province ucraine e subito ripetute da media e analisti “indipendenti”, rispecchi la realtà. La risposta è: poco.

Forzature e manipolazioni

La prima forzatura riguarda il parallelismo tra agosto 1945 e ottobre 2022. Nella Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti erano l’aggredito e il Giappone l’aggressore; in Ucraina, la Russia è l’aggressore. Una differenza non da poco, in quanto nel diritto internazionale la difesa è sempre legittima e l’attacco raramente giustificato. E gli Stati Uniti lanciavano per chiudere una guerra, la Russia per riaprirla.

La seconda manipolazione è cancellare il contesto della decisione di usare le atomiche. Nel febbraio-marzo 1945, la conquista di Iwo Jima era costata agli Usa oltre 23mila morti e feriti. Di fronte alla durezza dei combattimenti per una piccola isola vulcanica, cosa ci si poteva aspettare in caso di invasione del Giappone? Le stime variano da 268mila a un milione di perdite, beninteso solo tra gli americani. Sul versante nipponico, dei 21mila difensori di Iwo Jima ne furono fatti prigionieri solo 216 (compresi i lavoratori forzati coreani). Non sapremo mai quanti giapponesi sarebbero morti per difendere Tokyo, ma senz’altro di più delle 290mila vittime, tra immediate e per radiazioni, dei due attacchi atomici. Fu di fronte a questi numeri, insostenibili per una democrazia, tanto più dopo che la sconfitta della Germania aveva indotto un clima di guerra già vinta, che Harry S. Truman decise di usare l’atomica, superando le tardive obiezioni di alcuni degli scienziati che quattro anni prima avevano supplicato Roosevelt di svilupparla.

La terza distorsione è molto indicativa. L’8 agosto 1945, due giorni dopo Hiroshima, l’Urss dichiarò guerra al Giappone. Gli Alleati avevano più volte chiesto a Iosif Stalin di attaccare alle spalle dei nipponici, anche per alleggerire la pressione sulla Cina. A Yalta, nel febbraio 1945, in cambio dell’intervento contro il Giappone, Franklin D. Roosevelt s’impegnò a riconoscere le pretese sovietiche in estremo oriente. In aprile l’Urss informò il Giappone che non avrebbe rinnovato il patto di non aggressione, ma garantì che lo avrebbe rispettato per i previsti 12 mesi. Il maramaldesco attacco di agosto consentì all’Urss di presentarsi come vincitore del Giappone, con tutti i vantaggi politici e territoriali connessi, compreso lo sbarco in Corea che pose le basi per una nuova guerra.

La quarta implicazione è la più sottile. Putin lascia intendere che senza l’intimidazione dell’atomica americana, l’Urss avrebbe potuto espandere il proprio controllo ben oltre l’Europa orientale. Non importa che la resistenza postbellica in Ucraina e nei Paesi baltici, la rivolta in Germania Est del 1953, la rivoluzione ungherese del 1956, la primavera di Praga del 1968, gli scioperi di Danzica del 1980 e la fuga dalla Germania Est del 1989 suggeriscano che la presenza russo-sovietica sia stata sempre mal tollerata. Per Putin, come per ogni regime autoritario, gli ostacoli al successo non sono mai frutto di incapacità o cattive politiche, ma sempre di agenti o armi straniere.

Putin evoca lo spettro della guerra atomica

Rimuovendo l’obbiettivo statunitense di limitare le proprie perdite umane e omettendo che l’Urss trasse immediati vantaggi dalle atomiche Usa, Putin ha per l’ennesima volta manipolato la storia per presentare la Russia come vittima dell’occidente rapace e almeno implicitamente come Paese aggredito. Intendiamoci. L’uso politico della storia non è una novità, in nessuna parte del mondo, così come vi è sempre chi, in preda alla sindrome di Stoccolma, si schiera con gli aggressori. Ma questo non rende più accettabile arruolare la storia a sostegno di scelte errate – nel caso di Putin, puntellare con le minacce atomiche un regime che traballa per l’incapacità di condurre operazioni convenzionali su vasta scala.

La leggerezza russa nell’evocare lo spettro della guerra atomica spinge a una triste considerazione finale. Durante la Guerra fredda, la dirigenza politica di Stati Uniti e Urss aveva una cultura delle armi nucleari tanto solida da resistere alle occasionali sconsiderate velleità d’impiego. Tra queste, quella del generale Douglas Macarthur contro la Cina durante la guerra di Corea (1950) e quella di Fidel Castro nel pieno della crisi di Cuba (1962). A oltre mezzo secolo di distanza, la consapevolezza dell’inutilizzabilità pratica delle atomiche – per quanto “tattiche”, cioè di piccola potenza – sembra ormai appartenere al solo Occidente. Forse non a caso, l’arsenale nucleare tattico della Russia si aggira ancora intorno alle duemila testate, mentre gli Usa lo hanno da tempo ridotto a 200. Anche su questo bisognerebbe riflettere per valutare chi agita la minaccia atomica.

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