Entro il 2025 tre nuovi impianti per la produzione di biocarburanti idrogenati nel porto toscano. Il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani ha messo l’accento sul fatto che l’innovazione tecnologica e la rilevanza dell’investimento “dischiudono una vera prospettiva di sviluppo attenta anche a mantenere la forza lavoro e l’intera filiera produttiva”
Trasformare materie prime di scarto, residui e rifiuti in biocarburanti di alta qualità e biodiesel, nella consapevolezza che la continua ricerca legata al mondo dell’energia è l’unica strada per affrontare con programmazione e lungimiranza le nuove sfide industriali (e geopolitiche). Questo l’obiettivo che il Cane a Sei Zampe si è dato già per le bioraffinerie di Venezia e Gela, impegnate in processi di trasformazione di prodotti vegetali o oli da colture non in competizione con la filiera alimentare. Ora è allo studio il nuovo polo all’interno del sito industriale Eni di Livorno.
Perché Livorno
Secondo lo studio di fattibilità i tre nuovi impianti per la produzione di biocarburanti idrogenati saranno composti da un’unità di pretrattamento delle cariche biogeniche; un impianto Ecofining™ da 500mila tonnellate/anno e uno per la produzione di idrogeno da gas metano.
La nuova bioraffineria all’interno dell’area industriale livornese, che oggi ospita gli impianti per la produzione di carburanti e lubrificanti, ha come vantaggio quello di massimizzare le sinergie con le infrastrutture già disponibili, garantendo in questo modo un futuro occupazionale al sito. I lavori dovrebbero concludersi entro il 2025.
I commenti
Secondo Giuseppe Ricci, direttore generale Energy Evolution di Eni, si tratta di un importante milestone che si aggiunge alla strategia di decarbonizzazione di Eni e al percorso intrapreso molti anni fa, con la trasformazione, a Venezia nel 2014, della prima raffineria in bioraffineria. “La coesistenza di impianti bio e tradizionali è stata proficuamente testata con la recente produzione a Livorno di Eni Biojet, il primo Saf (Sustainable Aviation Fuel), esclusivamente da materie prime di scarto, grassi animali e oli vegetali esausti grazie alla sinergia con la bioraffineria Eni di Gela. Il nostro obiettivo è aumentare la disponibilità di prodotti decarbonizzati e sostenibili ai nostri clienti e di traguardare i target di riduzione delle emissioni scope 3”.
Il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani ha messo l’accento sul fatto che l’innovazione tecnologica e la rilevanza dell’investimento, così come le sinergie impiantistiche tra nuove e precedenti attività produttive, “dischiudono una vera prospettiva di sviluppo attenta anche a mantenere la forza lavoro e l’intera filiera produttiva”. Si tratta di scelte lungimiranti, precisa, compatibili con il territorio di riferimento, “che potranno altresì beneficiare della competitività infrastrutturale derivante dall’ammodernamento dello stesso porto di Livorno con la darsena Europa”.
Scommessa biocarburanti
Parola d’ordine bio. Eni è il secondo produttore di biocarburanti in Europa, con 1,1 milioni di tonnellate/anno e gli obiettivi di incrementare la quota a 2 milioni entro il 2025 e a 6 nel prossimo decennio. Dal prossimo anno Eni non tratterà più olio di palma e renderà disponibile il biocarburante idrogenato in purezza, contenente il 100% di componente biogenica, che può abbattere fino al 90% le emissioni GHG Well to Wheel, fino al suo utilizzo finale.
Tra l’altro una settimana fa un primo carico di olio vegetale per la bioraffinazione prodotto da Eni in Kenya è partito dal porto di Mombasa verso Gela. La nave inaugura così il sistema di trasporto e logistica che supporterà la catena del valore nel Paese, partendo da una produzione di 2.500 tonnellate entro la fine del 2022, per poi salire rapidamente a 20.000 tonnellate nel 2023.
Eni in questo modo usa l’olio vegetale prodotto nell’agri-hub di Makueni, l’impianto inaugurato dall’azienda nello scorso luglio, lì dove avviene la spremitura di sementi di ricino, di croton e di cotone. Sono questi degli agri-feedstock non in competizione con la filiera alimentare, coltivati in aree degradate, raccolti da alberi spontanei o risultanti dalla valorizzazione di sotto-prodotti agricoli, offrendo opportunità di reddito e accesso al mercato a migliaia di agricoltori.