Ho ritrovato Fini sul piccolo schermo. Non so se ne avrà uno più grande. Me lo auguro. Per lui che lo merita e per l’Italia, la destra, la politica in genere che potrebbero giovarsene. Il corsivo di Gennaro Malgieri
Ho ritrovato Gianfranco Fini. Non che lo avessi perso nell’oblio di un decennio, ma l’uomo pubblico non lo avevo più trovato dalla fine della legislatura del 2013. In privato ci siamo frequentati negli ultimi anni, soprattutto nei mesi estivi e, dopo lunghi chiarimenti e discussioni sull’ultima parte della sua sua parabola politica, ci siamo sentiti spesso.
Ma vederlo in televisione, incalzato da Lucia Annunziata, che poteva risparmiarsi quei pistolotti su fascismo/antifascismo, noiosi, datati, inutili, per dare spazio all’attualità – e che attualità: la destra al governo! -, è stato appunto come ritrovare il mio vecchio leader (l’amicizia come dicevo non è mai venuta meno), con la sua eleganza oratoria, la sua lucidità raziocinante, la sua memoria lunga, la sua passione per quella svolta del 1995 che segnò la nascita della destra moderna in Italia. E poi segnata dalla calma di un uomo oggettivamente pacificato, mi ha quasi commosso: non si può vivere eternamente di rancori, soprattutto quando si è condivisa la parte migliore e più significativa di una vita.
L’ho ritrovato e nelle sue parole ho avvertito che il filo di un lungo discorso non si è mai spezzato nel corso del tempo, dalle citate Tesi ai diritti civili, alla destra repubblicana che può e deve essere anche conservatrice, come lo è stata in Francia al tempo di De Gaulle fino al disastro di Sarkozy. È su questo che Annunziata si sarebbe dovuta soffermare per far capire che quella destra che Fini immaginò inserita nel contesto dell’alternanza politica divenne decidente e plurale per poi dimenticarsene, almeno fino ad oggi, quando rinasce la speranza coltivata che repubblicanesimo e conservatorismo non sono endiadi opposte ma complementari, quando è chiaro finalmente – e vorremmo che così sia per sempre – che la democrazia del popolo è quella che sceglie i governi ed i governanti, in un presidenzialismo impastato di tolleranza e di civile e reciproco riconoscimento tra avversari.
Ho ritrovato Fini sul piccolo schermo. Non so se ne avrà uno più grande. Me lo auguro. Per lui che lo merita e per l’Italia, la destra, la politica in genere che potrebbero giovarsene. L’ho trovato pacato e sereno, pur sapendo che grovigli di ambasce deve governare quotidianamente. Ma non è disperato. È appagato piuttosto per ciò che ha, degli studi che lo appassionano, dei diritti umani e della civile convivenza tra diversi che coltiva con costanza, a cui dedica i suoi pensieri.
Chi lo avrebbe mai detto, nell’ultima domenica di ottobre, ai margini di un’estate che non vuole andarsene, ritrovare un uomo a cui qualcuno diceva che avevano tolto tutto. Ma così non è. È ancora ricco di speranze per una destra che sente sua anche se la guarda un po’ da lontano, ma con la passione di quando provò a reinventarla, seminando con altri amici grani che avrebbero dato frutti insperati.