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Geopolitica dello spazio, asimmetrie di potere e regole per l’uso

Satellite

Le attuali dinamiche geopolitiche della Terra si riverberano oltre l’atmosfera, con una crescente competizione tra grandi potenze, resa più complessa dalla mancanza di una regolamentazione comune. Il tema è stato oggetto del webinar organizzato dallo Iai e da Intesa Sanpaolo, che tra le altre cose ha sottolineato come dagli Usa possa arrivare un modello di auto-regolamentazione aperto anche agli altri Paesi

Lo spazio è la “prosecuzione della politica terrestre con altri mezzi”, e la competizione geopolitica tra grandi potenze che si svolge sulla Terra ha un riverbero diretto anche oltre l’atmosfera, alla costante ricerca di nuovi spazi di preminenza. Le infrastrutture spaziali, siano esse civili o militari, sono ormai parte integrante delle riflessioni strategiche degli Stati, la cui protezione è ormai una riflessione condivisa da tutte le Forze armate del mondo. La stessa guerra in Ucraina ha dimostrato come i satelliti siano potenzialmente gli obiettivi di attacchi nello spazio, cinetici o meno. La commercializzazione delle orbite, con l’accesso dei privati, ha poi complicato ulteriormente il quadro.

La geopolitica extra-atmosferica

Di questo si è parlato nel corso dell’evento “The geopolitics of Space – A star-spangled screen for the projection of great power competition?” organizzato dall’Istituto affari internazionali (Iai) in collaborazione con Intesa Sanpaolo, parte di un ciclo di incontri che mira a indagare come la corsa allo spazio stia influenzando la geopolitica, l’economia e la giurisprudenza internazionali. Nel corso di questo primo evento, Marco Aliberti, associate senior fellow dell’European space policy institute, e Ester Sabatino, analista di ricerca dell’International institute for strategic studies-Europe, si sono confrontati sul paper che ha dato il titolo all’iniziativa, presentato da Juliana Suess, analista di ricerca e responsabile delle politiche di Sicurezza spaziale presso il Royal united services institute (Rusi). Ad aprire il dibattito sono intervenuti anche Hugo Doyle, direttore senior e capo International Public Affairs di Intesa Sanpaolo, e Fabrizio Botti, senior fellow dello Iai.

L’attuale corsa alle orbite

La discussione è partita dal presupposto presentato dal paper che, sebbene la “corsa allo spazio” che ha caratterizzato la Guerra fredda sia finito, le attuali dinamiche geopolitiche della Terra si riverberano oltre l’atmosfera, dove tra l’altro gli Stati sono meno disposti a rinunciare e i propri vantaggi competitivi e progressi tecnologici in nome del compromesso. Questa dinamica, tra l’altro, è resa più complessa dalla mancanza dei due blocchi contrapposti, sostituiti da una situazione dove alle grandi potenze si sono aggiunti numerosi altri attori più o meno allineati a determinati schieramenti, ma che seguono anche azioni e obiettivi propri e indipendenti. In questo contesto, lo spazio diventa non solo un dominio operativo militare, ma anche una piattaforma attraverso la quale si possono mostrare capacità e progressi tecnologici, un mezzo ideale per la proiezione di soft power.

Un dominio militare

Dalla Prima guerra del Golfo del 1990, considerata la prima guerra spaziale grazie all’uso dei satelliti per dirigere le forze sul campo, lo spazio è diventato a pieno titolo uno dei domini operativi delle Forze armate. La Nato lo ha dichiarato tale nel 2019, e gli Stati Uniti hanno creato nello stesso anno una forza armata dedicata. Numerosi Paesi hanno creato organi militari deputati allo spazio con diverse declinazioni, e in Italia nel 2020 è stato creato il Comando per le operazioni spaziali. Dalle orbite si riesce, infatti, a monitorare con precisione il nemico e a dirigere le proprie truppe in aree sempre più ampie mantenendo costantemente le capacità di comando e controllo. Tuttavia, lo spazio è un dominio a sé stante, e sebbene siano state avanzate alcune analogie con la dimensione marittima, utili per le riflessioni strategiche e politiche, il potere spaziale è profondamente diverso da quelli aereo, terrestre o marittimo, e pertanto richiede una valutazione a sé stante.

Limiti tecnologici

Oltre alle valutazioni strategico, però, ci sono anche quelle tecnologiche e capacitive. Non tutti i Paesi riescono ad accedere alle orbite, e i livelli di operatività spaziale variano molto tra gli Stati. Persino la posizione di un Paese sulla superficie terrestre, più o meno vicina all’equatore (o con possibilità di installare basi sul parallelo 0) è determinante per il raggiungimento delle orbite. Quanto le restrizioni tecniche influiscano sulle relazioni internazionali è bel esemplificato dalla posizione della Stazione spaziale internazionale. La Iss, infatti, è posta su un’orbita facilmente accessibile sia dagli americani che dai russi. Dopo la guerra in Ucraina, la Russia ha più volte paventato la possibilità di ritirarsi dal progetto (attraverso la voce del numero uno di Roscosmos, Dmitry Rogozin) per unirsi al parallelo progetto cinese Tiangong. Ma per raggiungere la base del dragone, Mosca dovrebbe effettuare delle manovre ben più complicate. Il Cremlino, inoltre, si unirebbe al programma di Pechino come componente junior, visti i progressi cinesi, in una posizione di subalternità difficilmente digeribile per la Russia.

Il comando dello spazio

A queste valutazioni si aggiunge il fatto, non trascurabile, delle dimensioni dello spazio, anche se si prendono in considerazione solo le orbite basse. Questo si traduce nel fatto che il “comando dello spazio” non può, fisiologicamente, tradursi in “dominio dello spazio”. In analogia con quanto è stato ampiamente riconosciuto dalla dottrina navale, il “comando dello spazio” si declina come il “controllo delle vie di comunicazione” e l’obiettivo di una potenza spaziale è il “controllo dell’accesso e la contemporanea negazione” dello spazio all’avversario. Se sul mare questo si traduce con il controllo sugli stretti marittimi e il possesso di basi navali in giro per il globo, nello spazio questo comprende il possesso e il controllo delle infrastrutture spaziali a partire dai satelliti, e la sicurezza delle telecomunicazioni necessarie al loro controllo e alla diffusione dei dati raccolti da questi.

I costi

Avventurarsi nello spazio, inoltre, è costoso. Le tecnologie coinvolte sono all’avanguardia dell’evoluzione tecnica umana, e richiedono un costante impegno finanziario per continuare la sperimentazione e lo sviluppo. Inoltre, anche i costi operativi, dal lancio alla gestione degli strumenti in orbita, sono impegnativi per tutti i Paesi space-faring. Questi costi determinano la necessità di collaborazione internazionale per tutti i Paesi che vogliono operare nello spazio, un elemento complicato ma che, almeno oltre l’atmosfera, favorisce la collaborazione rispetto alla competizione.

C’è bisogno di nuove regole

Di fronte a queste evoluzioni, non esistono praticamente regole che disciplinino la condotta dei Paesi oltre l’atmosfera. La regolazione è ferma al Trattato sullo spazio extra-atmosferico (Ost) del 1967, anche se da allora l’ambiente cosmico è cambiato radicalmente. Sulla dimensione militare, il trattato si limita a proibire il posizionamento di armi nucleari in orbita e l’installazione di basi militari sulla Luna e gli altri corpi celesti. L’evoluzione, sempre più distruttiva e pericolosa, delle armi anti-satellitari (Asat) ha spinto a iniziare vari tentativi di regolamentare anche le armi convenzionali, ma questi sforzi sono stati ancora infruttuosi, arenati su dettagli specifici, compreso il significato della parola “arma spaziale”.

L’esempio arriva da Washington

La sfida geopolitica, soprattutto quella tra Cina e Stati Uniti, con Pechino che sta sfidando lo status di Washington quale maggiore potenza spaziale, si riverbera anche nella lotta diplomatica nel tentativo di plasmare le regole dello spazio senza dover limitare i propri vantaggi. Né la Cina né gli Usa sono, infatti, disposti ad accettare un quadro di discussione che minaccia di limitare i loro sviluppi oltre l’atmosfera. In questo quadro, però, gli Usa hanno portato da soli avanti lo sviluppo di regole spaziali, segnalando di avere a cuore il mantenimento di un equilibrio internazionale basato sulla rule of law. Nel 2022, infatti, si sono impegnati unilateralmente a non testare armi cinetiche Asat, che mettono a repentaglio tutte le infrastrutture spaziali, amiche o nemiche. Un segnale delle proprie linee rosse e un modello per gli altri Stati. La competizione geopolitica continuerà a svolgersi nello spazio e attraverso di esso, e l’asimmetria di potere e capacità renderà sempre più complicato trovare un compromesso sulle regole per il suo uso. In questo quadro, dunque, l’esempio degli Stati Uniti, di assumere impegni unilaterali lasciando la porta aperta agli altri Stati per seguirne il modello, potrebbe essere il modo migliore per raggiungere un accordo su alcune linee-guida da seguire oltre l’atmosfera.


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