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Il ritiro russo dall’Ucraina unica via alla pace. Parla Bentivogli

“Per dirla con Benedetto XVI e Francesco, la vera pace ha bisogno di verità e di giustizia. Non esiste verità senza libertà. Come cittadini e associazioni chiediamo di mobilitarci su questa piattaforma con chiarezza altrimenti si costruiscono iniziative neutraliste e ambigue che hanno altre finalità”. Conversazione con Marco Bentivogli, tra gli organizzatori della manifestazione davanti all’ambasciata russa contro l’invasione dell’Ucraina del 13 ottobre

Il dibattito sulla pace è a un punto di svolta. E la linea maginot è stata tracciata da Sergio Mattarella che, in un suo recente intervento, ha richiamato alla necessità di ristabilire “la verità”. La politica si divide e, tra Conte e Letta, è in atto una sorta di gara non solo per accreditarsi come custodi di un non meglio identificato pacifismo. Ma, specie da parte del leader pentastellato, è in atto una vera e propria operazione di legittimazione come interlocutore privilegiato di sindacati e corpi intermedi in generale. Ed è su questo punto, in particolare, che ci siamo confrontati con Marco Bentivogli, ex segretario generale dei metalmeccanici della Cisl.

Il Presidente della Repubblica, parlando della questione Ucraina, ha detto che occorre ristabilire la verità. Questo è il concetto su cui avete costruito la manifestazione?

Con Angelo Moretti, Marianella Sclavi, Riccardo Bonacina e molti altri abbiamo costruito da zero l’iniziativa di dopodomani davanti all’ambasciata russa a Roma alle 18.30. Perché, per dirla con Benedetto XVI e Francesco, la vera pace ha bisogno di verità e di giustizia. Non esiste verità senza libertà. Come cittadini e associazioni chiediamo di mobilitarci su questa piattaforma con chiarezza altrimenti si costruiscono iniziative neutraliste e ambigue che hanno altre finalità. Come ha ricordato Luigi Manconi, i costruttori di pace sono sempre stati connotati da due componenti, una di natura profetica, di origine religiosa o laica, e un’altra di natura pragmatica e profondamente politica. E la politica esige sempre l’indicazione dell’ordine delle priorità.

Quali sono queste priorità?

Con nettezza bisogna chiedere il cessate il fuoco immediato e il ritiro delle truppe russe dal territorio ucraino. Fermare escalation nucleare e riprendiamo il percorso del disarmo dalle armi atomiche. Riconoscere la piena indipendenza ed autonomia dello Stato ucraino dalla Federazione Russa nei confini riconosciuti dalla comunità internazionale prima del 2014, riconoscere la libertà di parola e di obiezione di coscienza ai giovani russi. Sostenere ed accogliere i cittadini russi che protestano contro l’aggressione e sfuggono alla coscrizione. Agevolare l’insediamento di una Commissione internazionale di Verità e Riconciliazione sull’accertamento dei fatti avvenuti nel Donbass, in Crimea, in Ossezia del Sud, in Transnistria ed in Abkazia. Cooperare al disarmo delle zone interessate dal conflitto odierno e rilanciare in Italia e in Europa l’esperienza dei Corpi Civili di Pace. Cooperare per il funzionamento di negoziati che garantiscano una pace giusta e duratura.

Oggi il Pd rischia di parlare di pacifismo inseguendo Conte. Come evitare questa deriva?

Bisogna decidere cosa si insegue. Il M5S è stato l’unico partito al governo per tutta la legislatura. Ha sempre votato per l’invio di armi. Nel 2018 Conte ha confermato in sede Nato la scelta del 2014 sull’aumento al 2% delle spese militari e ha dato disponibilità alla richiesta di Trump di salire fino al 4% perché disse allora “oggi la Nato è molto concentrata anche sulla difesa degli interessi europei, e quindi non ci sembra del tutto proporzionato mantenere questa forma di contribuzione secondo questo criterio proporzionale”. I due Governi Conte (con Lega e poi con Pd) hanno aumentato le spese militari dal 2018 e il 2021 del 17% (da 21 a 24,6 miliardi) anche durante la pandemia. Il numero due di Conte, Mario Turco, anche in campagna elettorale ha chiesto assunzioni per il personale della difesa.

Quanto è ancora presente,  nel Pd, la nostalgia del naufragato campo largo e della partnership con il Movimento 5 Stelle?

Non so, c’è un problema. Il M5S da solo cresce, troppo vicino rischia di avere un’egemonia culturale. Un partito di sinistra moderna (ma anche antica) non può confondere gli ultimi come bacino elettorale. Per noi gli ultimi e le forze del lavoro sono la pietra angolare di riscatto dell’intero Paese. Il problema è che gran parte del gruppo dirigente del Pd è fatto di un’elite molto funzionale a questo modello di sviluppo.

Il leader pentastellato si pone sempre di più – e la presenza di Landini alla manifestazione dei giorni scorsi ne è un chiaro segnale – come interlocutore per sindacati e corpi intermedi.

Beh è un ravvedimento, non so quanto operoso. Il M5S voleva cancellare il sindacato, ci sono documenti molto chiari sul tema. Se hanno cambiato idea è un fatto positivo. Anche sul lavoro li ho sempre visti sulla sponda opposta, io sono stato sempre per costruire le condizioni per liberarsi “nel lavoro”, loro sempre per liberarsi “dal lavoro”. Sono due visioni opposte.

Il Pd su questo fronte ha perso mordente. Si può invertire questa rotta?

Se i luoghi di lavoro e i lavoratori li vedi al massimo per fare qualche selfie, se parli di lavoratori in terza persona e li metti nel generico elenco della spesa non ti ascolta nessuno. Abbiamo importato con 10 anni di ritardo lo sbandamento post anni ’70 della sinistra americana per cui alla sinistra gli venne ritagliato un posto affinché sposasse battaglie identitarie e la rendessero innocua sul modello di sviluppo. Il dirittismo garantisce a malapena i segnaposto (lo abbiamo visto nelle liste del Pd), non è mai evoluzione della rappresentanza. Cede i diritti sociali e le istanze di cambiamento a meno che non siano compatibili con il sistema economico. È un radicalismo sdentato fatto di battaglie anche giuste ma complessivamente innocue. Parlano di “inclusione” proprio perché è annessione dentro poteri consolidati e immutabili. Invertire la rotta? Non servono rottamazioni ma è il momento di chiedere un passo indietro a chi ha avuto responsabilità in questi anni. Potranno ancora riciclarsi con l’autoassoluzione del consueto cambio di segretario ma sarà la fine. Servono persone credibili. La comunità democratica si è accorta che il Pd ha mutuato tutto dal M5S tranne le regole sui ricambi e le incandidabilità. Ora il Pd pensi a se stesso, senza chiudersi ma neanche appaltando la questione sociale e del lavoro.

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