Stoltenberg ha ricordato che Kiev ha già ricevuto un robusto supporto esterno fondamentale nel fermare e respingere l’avanzata di Mosca. È ora di fare leva sull’attuale debolezza di Putin per cercare un compromesso: esito indispensabile per non andare incontro a una catastrofe planetaria. Il commento di Giovanni Castellaneta, già ambasciatore d’Italia negli Stati Uniti e consigliere diplomatico di Palazzo Chigi
L’annessione delle quattro province ucraine alla Russia, dopo la proclamazione dei risultati quantomeno discutibili dei referendum farsa che si sono svolti nei giorni precedenti, potrebbe essere il segnale che Vladimir Putin è disposto ad alzare senza limiti il livello della sfida.
Non ci troviamo ancora in una guerra che vede il diretto coinvolgimento della Nato, ma non ne siamo lontani: si potrebbe dire che ora siamo nel livello immediatamente precedente a quello di “allarme rosso”. La storia del Novecento dovrebbe avere insegnato quanto escalation di questo tipo possono essere pericolose se non fermate in tempo: pensiamo all’attentato di Sarajevo, che da gesto isolato si trasformò presto in conflitto mondiale o alla politica di appeasement nei confronti di Adolf Hitler, che concessione dopo concessione portò Europa e resto del mondo verso l’abisso.
E in questa direzione va interpretato anche il sabotaggio al Nord Stream dei giorni scorsi: sembra ormai chiaro che la distruzione dei gasdotti fosse già programmata da tempo da uno Stato ostile all’Occidente, e utilizzata come arma di ricatto verso l’Europa. Una specie di avvertimento dai toni quasi “mafiosi” che potrebbe essere il preludio di azioni più pericolose e con un vero impatto per la nostra economia e sicurezza: infatti, dato che i due gasdotti Nord Stream erano già destinati a non essere più utilizzati nel breve periodo, questa azione si potrebbe leggere come una “prova generale” di quello che potrebbe accadere ad altre infrastrutture. Pensiamo per esempio alle reti delle telecomunicazioni; ma anche ad altre pipeline che sono diventate strategiche per l’Europa, come la nuovissima Baltic Pipe tra Norvegia e Polonia (inaugurata proprio il giorno dell’attentato al Nord Stream) o il Tap che per l’Italia si sta rivelando di importanza vitale. Una vignetta satirica ha attribuito a Greta Thunberg la responsabilità del sabotaggio del Nord Stream: si tratta ovviamente di un’ipotesi senza alcun fondamento, ma è davvero beffardo e paradossale notare come due personaggi così distanti tra loro come la giovane ambientalista e Putin potrebbero in questa fase trovare una convergenza di intenti.
Che cosa dovrebbe fare dunque l’Occidente per evitare il peggio e tirare il “freno a mano” prima di arrivare sull’orlo del baratro? È necessario tentare di intavolare una trattativa di pace, che coinvolga non soltanto Russia e Ucraina ma anche le altre potenze che hanno una responsabilità e una partecipazione esterna al conflitto. È un obiettivo molto difficile da ottenere, anche perché una guerra vera e propria con la Nato direttamente coinvolta fino a oggi non c’è stata, ma non esistono alternative per fermare Putin ed evitare che possa arrivare a premere il bottone del nucleare sia pure quello per le armi tattiche.
Come farlo? Sfruttando il fatto che la Russia è sempre più isolata e in un angolo. È vero che il voto del Consiglio di Sicurezza contro l’annessione delle province ucraine non è stato risolutivo poiché Cina, ma anche India e Brasile, si sono astenuti senza prendere una posizione. Ma il silenzio crescente di Pechino è sempre più rivelatore del fatto che il Dragone non vuole farsi trascinare in un conflitto di proporzioni eccessive: del resto, Xi Jinping ha già grossi problemi in casa a livello economico e fra due settimane punta a ottenere la rielezione a vita come segretario del Partito comunista cinese e Putin nel recente vertice di Samarcanda non ha trovato dai grandi e piccoli Paesi che vi hanno partecipato quella solidarietà che si attendeva.
È dunque il momento di agire per aprire uno spiraglio che porti a un negoziato. Ha fatto bene Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, a stoppare la fuga in avanti di Volodymyr Zelensky, presidente ucraino, che l’altro giorno ha espresso il desiderio di un rapido ingresso dell’Ucraina nella Nato: circostanza che non sarebbe soltanto inopportuna in questa fase così delicata, ma anche irrealizzabile dato che nell’Alleanza Atlantica non possono entrare Paesi coinvolti in una guerra. Stoltenberg si è limitato a ricordare che Kiev ha già ricevuto un robusto supporto esterno, che si sta rivelando peraltro fondamentale nel fermare e respingere l’avanzata russa. È ora di fare leva sull’attuale debolezza di Putin (che, come ha acutamente osservato Henry Kissinger, ha già perso il conflitto) per cercare un compromesso: esito indispensabile per non andare incontro a una catastrofe planetaria.