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Cosa significa per l’Occidente e l’Italia il trionfo di Xi. Scrive Castellaneta

La questione ancora più grande riguarda il ruolo futuro di Pechino per la sicurezza mondiale. Oggi si sta muovendo con prudenza e ambiguità in rapporto alla guerra in Ucraina: se a parole Xi non ha mai tolto il proprio sostegno a Putin (con cui a febbraio aveva sottoscritto una “amicizia senza limiti”), nei fatti si sta guardando bene dal fornire aiuti diretti alla Russia nell’ambito del conflitto

Alla fine è andata largamente come ci si attendeva alla vigilia: il XX Congresso del Partito Comunista Cinese si è concluso con la riconferma – per la terza volta – di Xi Jinping come leader e capo di Stato. Una prova di forza di Xi (testimoniata anche dal plateale allontanamento del predecessore HuJintao) che, forte del sostegno del partito, ha centrato il suo principale obiettivo: quello di una riforma costituzionale che gli consentisse di essere nominato Presidente per un terzo mandato. È la prima volta che accade in Cina dopo la morte di Mao Tse Tung, e ora Xi potrà a buon diritto rispolverare la retorica del “Grande Timoniere”, dal momento che la sua leadership appare incontrastata e sembra destinata a durare ancora molto a lungo. Ma siamo sicuri che non ci siano nubi nel futuro “celeste” di Xi Jinping?

La Cina, in realtà, sta attraversando il periodo più difficile degli ultimi trent’anni, che erano stati caratterizzati da una crescita economica impetuosa e inarrestabile. Le basi poste da Deng Xiaoping con le prime aperture e liberalizzazioni erano state poi consolidate e ampliate negli anni, impostando un modello basato su investimenti ed esportazioni che ha beneficiato fortemente della globalizzazione economica e di catene del valore sempre più integrate. Oggi, però, qualcosa sembra essersi rotto – o sul punto di rompersi. La crescita del Pil quest’anno sarà la più bassa da decenni (se escludiamo il 2020 per la pandemia) e la questione se impostare lo sviluppo cinese su basi diverse – ovvero sui consumi interni più che risparmi e investimenti – non sembra più rimandabile. Inoltre, l’ostinazione di Xi per la “zero Covid policy” sembra destinata a continuare: il leader cinese ha rivendicato con orgoglio l’aver salvato molte vite, ma è chiaro che oggi, in un momento in cui il mondo sembra finalmente in grado di lasciarsi alle spalle la pandemia, la strategia del lockdown non sembra più sostenibile per la “fabbrica del mondo” cinese.

Ma la questione ancora più grande riguarda il ruolo futuro di Pechino per la sicurezza mondiale. Oggi la Cina si sta muovendo con prudenza e un filo di ambiguità in rapporto alla guerra in Ucraina: se a parole Xi non ha mai tolto il proprio sostegno a Putin (con cui a febbraio aveva sottoscritto una “amicizia senza limiti”), nei fatti si sta guardando bene dal fornire aiuti diretti alla Russia nell’ambito del conflitto. Xi Jinping è attore lucido e razionale e sa bene che il suo Paese non può permettersi di essere bersaglio di sanzioni secondarie. Il vero nodo è legato a Taiwan ed è su questa questione che si giocheranno i destini della sicurezza globale nei prossimi anni: durante il Congresso il leader cinese ha ribadito che la riconquista dell’isola resta un obiettivo primario per Pechino, anche attraverso l’uso della forza, e dunque ingerenze straniere non saranno tollerate.

Cosa significa per l’Occidente e per l’Italia il trionfo di Xi? Innanzitutto, che la Cina dovrebbe rimanere un interlocutore fondamentale, un competitor certo ma non un nemico. L’amministrazione Biden ha esplicitamente dichiarato guerra economica alla Cina con le recenti restrizioni all’export di semiconduttori e altri input tecnologici, ed è decisa a difendere l’indipendenza di Taiwan. Se il decoupling da Pechino è un obiettivo a cui dovremo sicuramente tendere per proteggere alcuni settori critici per la nostra sicurezza e i nostri interessi strategici, dall’altro lato occorre cautela nella retorica da utilizzare con la Cina: abbiamo già un fronte aperto con la Russia che sta creando non pochi problemi sotto diversi punti di vista, aprirne un altro in questo momento sarebbe avventato e poco lungimirante. Dalle prime intenzioni emerse sembra che il nuovo governo Meloni sia consapevole di ciò e c’è da sperare che si muova nel solco di politica estera tracciato in questi ultimi due anni.


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