Washigton avvisa Berlino, Pechino risponde facendo leva su un editoriale di Scholz pubblicato prima che partisse per andare a trovare Xi. Ma la reazione alimenta i dubbi: l’operazione soddisfa le esigenze commerciali della società o quelle dello Stato?
Wang Lutong è il direttore generale per gli Affari europei al ministero degli Esteri cinese. È molto attivo su Twitter e in queste ore sta ponendo grande enfasi sul viaggio del cancelliere tedesco Olaf Scholz a Pechino per incontrare il presidente Xi Jinping – primo leader occidentale a farlo dopo il Congresso del Partito comunista cinese che l’ha incoronato segretario per la terza, storica volta.
“Credo che la visita contribuirà ad aumentare la comprensione e la fiducia reciproca, ad approfondire la cooperazione pratica e a tracciare la rotta dei legami bilaterali in futuro”, ha scritto. E ancora: “In un momento di incertezza e volatilità, la Cina e la Germania, in quanto grandi Paesi del mondo, dovrebbero unire le forze per superare le difficoltà e contribuire insieme alla pace e allo sviluppo del mondo”, ha aggiunto. Poi ha pubblicato un intervento dell’ambasciatore Wu Hongbo, rappresentante speciale del governo cinese per gli Affari europei, sulle “nuove opportunità per l’Europa” portate “dal nuovo sviluppo cinese”. “Non posso essere più d’accordo”, ha commentato.
Nei mesi scorsi Wu Hongbo, già ambasciatore in Cina, è stato impegnato in un tour in Europa. Ha fatto tappa anche in Italia. Fu una visita, avevamo spiegato su Formiche.net, pensata per cercare di portare risultati prima del Congresso a Xi, timoroso per il riavvicinamento tra Europa e Stati Uniti. La visita di Scholz è molto criticata in quanto rischia di offrire un’occasione gratuita di visibilità e legittimazione per la Cina. Secondo i critici, la lezione russa non è stata ancora imparata da Berlino.
Uno dei dossier più caldo è quello che riguarda il porto di Amburgo (e che potrebbe avere ripercussioni indirette anche sull’Italia). A fine ottobre il governo tedesco ha approvato l’acquisizione da parte del colosso cinese Cosco di una quota del 24,9 per cento nel terminale di Tollerort, parte del porto di Amburgo. Sei ministeri (Esteri, Interno, Difesa, Economia e Protezione del clima, Finanze, Trasporti e Digitale) volevano impedire completamente l’ingresso del gruppo logistico nella gestione del terminale, cui invece era favorevole la cancelleria. In precedenza, l’accordo tra il gruppo e Hhla, l’operatore portuale di Amburgo, prevedeva l’acquisizione di una quota del 35 per cento per 65 milioni di euro. I sei dicasteri hanno elaborato una soluzione di emergenza, riducendo la partecipazione di Cosco nel terminale di Tollerort al 24,9 per cento. L’obiettivo è far sì che l’azienda non acquisisca una minoranza di blocco e non possa esercitare alcuna influenza su un’infrastruttura critica sul principale porto della Germania.
Nei giorni scorsi, proprio prima della partenza di Scholz per Pechino, un alto funzionario del dipartimento di Stato americano ha dichiarato ai giornalisti che Washington ha “suggerito con forza” che la Cina non detenesse una partecipazione di controllo in un terminal portuale di Amburgo. La reazione di Pechino non si è fatta attendere. Gli Stati Uniti “non hanno il diritto” di interferire nella cooperazione tra Cina e Germania, ha dichiarato in conferenza stampa, Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri cinese. “Forse gli Stati Uniti vedono tutti i loro alleati come il cortile di casa”, ha commentato Wang Lutong. “Sono d’accordo con il cancelliere Scholz che in un articolo ha scritto che nessun Paese è il cortile di casa di un altro”.
Le parole che giungono da Pechino sembrano essere un tentativo di portare Berlino più vicina. Ma non solo. Una simile presa di posizione rischia di alimentare i sospetti chi è convinto che l’operazione soddisfi le esigenze dello Stato cinese piuttosto che le esigenze commerciali di Cosco. La guerra per procura tra Stati Uniti e Cina continua.