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Via dalla Cina, ma per Apple ci vorranno anni

Apple Tsmc

Parola d’ordine: reshoring. La casa della mela si sta preparando a rifornirsi di chip statunitensi (ed europei) per ridurre la dipendenza dall’Asia. Ma come per altre catene di produzione, la mossa è un piccolo passo in una maratona decennale

Apple si starebbe preparando a rifornirsi di semiconduttori prodotti in Occidente già dal 2024. A riportarlo è Bloomberg, secondo cui l’ad Tim Cook avrebbe detto che l’azienda si appoggerà su un impianto statunitense, operativo a partire dal 2024. Non solo: “Sono sicuro che ci riforniremo anche dall’Europa, man mano che [i piani di costruzione] diventeranno più evidenti”, ha aggiunto durante una conversazione con dei dipendenti in Germania. “Credo che alla fine si assisterà a un investimento significativo in capacità e impianti sia negli Stati Uniti che in Europa, per cercare di riorientare la quota di mercato di dove sia prodotto il silicio”.

Con ogni probabilità, rimarca la testata statunitense, Cook si stava riferendo a uno stabilimento in Arizona ancora in via di costruzione, che sarà gestito dalla taiwanese Tsmc, leader globale nella produzione di semiconduttori. L’apertura dello stabilimento è effettivamente prevista per il 2024, ma Tsmc già pensa a un secondo impianto negli Stati Uniti, nell’ambito di un più ampio programma di incremento della produzione di chip nel Paese (incoraggiato, a sua volta, da Washington, mediante il Chips Act).

Anche l’Unione europea ha la sua versione del Chips Act, sebbene – stando a Politico – la Commissione  stia incontrando difficoltà nel raccogliere i 50 miliardi necessari. Nelle sue dichiarazioni, Cook non ha specificato da dove Apple potrà attingere i chip nel futuro, ma secondo Bloomberg la stessa TSMC sta discutendo con il governo tedesco per la creazione di un impianto. Anche la rivale a stelle e strisce Intel sta aprendo filiere in Ue (specie Germania e Italia), ma la casa della mela si appoggia meno su di essa da quando disegna i propri chip (e li fa produrre da Tsmc).

Il punto, ha precisato l’ad di Apple nella sua conversazione, è che serve ridurre le dipendenze strategiche. E il fatto che il 60% dei microchip al mondo escano da Taiwan è tutt’altro che strategico. Come anche il fatto che la gran parte dei prodotti Apple siano da sempre prodotti in Cina, con tutte le conseguenze del caso. È il motivo per cui la casa della mela sta lentamente ma inesorabilmente spostando alcune catene di produzione altrove in Asia. Da quest’anno anche l’ultimo modello di iPhone viene prodotto in India, seppur in minima parte, mentre il Vietnam promette di essere la futura culla di MacBook e Apple Watch.

JPMorgan stima che oggi meno del 5% dei prodotti Apple è realizzato al di fuori della Cina, ma entro il 2025 la percentuale sarà del 25%. E l’Economist rileva che anche i fornitori di Apple (tra cui spicca Tsmc) stanno diversificando rispetto alla Cina. È un segnale inequivocabile della tensione riguardo a Pechino, che Washington e Bruxelles hanno identificato come il grande competitor strategico del prossimo secolo. Anche i mercati sembrano premiare la tendenza al reshoring e friend-shoring: le azioni di Tsmc sono salite quasi del 3% dopo la notizia di Bloomberg.

È la seconda buona giornata di fila per l’azienda taiwanese, che martedì ha segnato un più 7,9% in borsa dopo che il leggendario investitore Warren Buffett ha annunciato di avervi preso parte mediante investimenti. Ma per Tsmc, come per Apple, resta il fattore tempo. Entrambe le aziende hanno catene di produzione estremamente consolidate in Cina. La seconda produce lì il 98% degli iPhone, e per spostare solo il 10% di quella particolare catena di produzione, la più complessa, ci vorrebbero almeno otto anni, stando a Bloomberg. Per il prossimo decennio almeno, la casa della mela resta legata mani e piedi a Pechino; sarà più veloce la sua diversificazione, o il deterioramento delle relazioni tra Occidente e Cina?

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