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Chip più piccoli e sanzioni americane. La Tsmc rallenta la sua corsa

Realizzare transistor più piccoli è sempre più difficile e, soprattutto, non garantiscono prestazioni migliori. Le nuove linee guida introdotte da Joe Biden per limitare l’export verso la Cina influiscono anche sull’azienda leader di Taiwan, per la prima volta insidiata dalle sue rivali

Realizzare dei transistor via via più piccoli per rendere i semiconduttori sempre più efficienti appare impossibile. A scontrarsi con la nuova realtà dei fatti è perfino l’azienda leader del mercato, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc), che fa dell’innovazione il suo successo. Eppure, di fronte all’ultimo tentativo di miniaturizzare il chip per creare circuiti larghi 4 miliardesimi di metro, l’aumento delle prestazioni era di solo il 2%. Uno shock enorme, tale da portare l’amministratore delegato, C.C. Wei, alla triste considerazione di come “fare affidamento solo sui transistor non è più sufficiente per soddisfare le nostre esigenze di oggi e per venire incontro [ai requisiti dei] prodotti da progettare”.

Il problema non è da poco perché, come scrive il Financial Times, la richiesta di chip sempre più piccoli potrebbe far perdere il grande vantaggio che Tsmc si è costruita durante gli ultimi anni a discapito delle rivali. Su tutte, Intel e Samsung che invece adesso potrebbero recuperare terreno. La necessità è quella di trovare un modo alternativo a quello utilizzato da dieci anni a questa parte. Il processo FinFET, infatti, è stato un processo ottimale che ha permesso di raggiungere traguardi importanti in termini di velocità e potenza dei chip, ma adesso non è più la garanzia di una volta.

Dal prossimo 2025, Tsmc utilizzerà i chip N2 di ultima generazione e li produrrà grazie alla tecnologia Nanosheet o Gate-All-Around (GAA). Il che “consente al dispositivo di funzionare con una tensione molto bassa e aumentare l’efficienza energetica”, ha spiegato il vicepresidente dell’azienda taiwanese, Kevin Zhang. La transizione, però, non sarà semplice. Non solo per Tsmc, ma anche per le altre che cercano di correrle dietro.

Samsung, infatti, si è già instradata sulla stessa via della rivale, ma secondo alcuni analisti potrebbe far fatica ad attrarre grandi investitori e società che decidono di puntare sui suoi chip. Forse Google o forse Tesla, che rappresenterebbero due grandi acquisti, ma è tutto avvolto da un’incognita. Anche perché è la società di Wei ad aver capito per prima che la chiave di volta stava nel lavorare su progetti di altre società, realizzando 12mila prodotti differenti, affiliandosi con 500 clienti e, di fatto, conquistando così metà del mercato dei semiconduttori. Il suo regno, quindi, può essere indebolito – anche Intel punta a raggiungere la tecnologia Nanosheet addirittura un anno prima del 2025 – ma ci vorrà molto tempo.

I problemi non sono solamente di natura fisica e di materiali, con il silicio e altre materie prime che stanno diventando il nuovo oro del mondo, ma anche politica. Le nuove sanzioni introdotte dall’amministrazione di Joe Biden sull’export di microchip verso la Cina sono state un vero e proprio scossone. Nelle nuove linee guida emanate dalla Casa Bianca, che hanno l’obiettivo di azzerare la partecipazione americana all’uso che Pechino fa della tecnologia, alcune società statunitensi come Nvidia e Amd dovranno avere una licenza per mandare i loro prodotti nella terra del Dragone.

Così, i produttori si sono dovuti adeguare ai nuovi input che secondo Pechino rimangono poco chiari. Senza licenze, per la Cina sono guai seri visto che grazie al know how americano è riuscita a mandare avanti la sua industria tecnologica, proprio quella che Washington vuole fiaccare perché crede che venga usata contro i diritti umani. Tuttavia, i problemi stanno nascendo anche per Tsmc, che collabora ben volentieri con i governi democratici. Non è semplice per l’azienda cambiare la sua produzione rispettando le nuove regole e, per tale ragione, ha chiesto ai suoi clienti cinesi di autodenunciare la potenza dei loro chip e di segnalare le criticità.

“A meno che non possiamo dimostrare di essere a posto con i controlli sulle esportazioni, non saremo in grado di spedire. Ogni volta che c’è una bandiera rossa, dovremo controllare”, affermano dall’azienda in riferimento ai progetti relativi alla start up cinese Biren Technology, che sta cercando di diversificare la sua produzione dopo la nuova regolamentazione Usa, depotenziando i chip e disabilitando una parte di essi. Dopo anni di progresso sfrenato che ha portato i microchip a diventare lo strumento che fa girare il mondo, fisica e politica rallentano quindi la corsa dei chip.


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