La realizzazione del più grande impianto sportivo del Qatar è un successo per Pechino, con un’azienda cinese che ha ottenuto un contratto come appaltatore principale all’interno di un torneo Fifa. L’intervento di Laura Harth, Campaign Director Safeguard Defenders
Pechino 2022, Qatar 2022: il passo è veramente breve. Non ci eravamo ancora ripresi dalla conferenza stampa di Gianni Infantino, presidente della Fifa, che di prima mattinata la macchina di propaganda cinese ci ha ricordato tutto quel che non va nel(la Coppa del) mondo.
In primo piano sul China Daily e il Global Times si torna a celebrare la costruzione dello stadio Lusail, dove si giocheranno non meno di dieci partite dei Mondiali, tra cui quella più ambita, la finale. Il più grande impianto sportivo del Qatar è un primato per i costruttori cinesi: è la prima volta che un’azienda cinese ottiene un contratto come appaltatore principale all’interno di un torneo Fifa.
E che azienda. La China Railway Construction Company (Crcc) è una società statale fondata dall’Esercito popolare di liberazione cinese nel 1948 e tutt’ora considerata come entità di fusione militare-civile, in quanto sostiene gli obiettivi di modernizzazione dell’Esercito popolare di liberazione garantendo che il suo accesso a tecnologie avanzate e competenze siano acquisite e sviluppate da società, università e programmi di ricerca della Repubblica popolare cinese che sembrano entità civili.
Se ne ricorderanno forse anche i tifosi dell’Inter. È la stessa entità “civile” che sembrava prone ad acquisirne il 15% delle quote con l’aggiunta di una proposta di costruzione di un nuovo stadio di proprietà della squadra nerazzurri entro il 2017.
L’accordo, per fortuna, saltò ed entro quel 2017 la Crcc era impegnata in ben altri progetti di costruzione: come dimostrano documenti riportati ancora di recente da The Times, la Crcc ha lavorato sulla costruzione di una prigione utilizzata nella detenzione di massa di uiguri per conto dello pluri-sanzionato Xinjiang Production and Construction Corps (Xpcc).
Verrebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Il primo Paese islamico a ospitare i mondiali di calcio ne assegna il fiore all’occhiello ai collaboratori attivi della detenzione arbitraria e discriminatoria di massa delle popolazioni musulmane in Cina, definita dall’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani perlomeno come crimini contro l’umanità.
D’altronde, le prassi aziendali della Crcc – sospesa per nove mesi nel 2019 dalla Banca mondiale per “cattiva condotta nell’ambito del progetto di miglioramento del corridoio autostradale est-ovest in Georgia” – sono del tutto in linea con quelle violazioni di cui è accusato il Qatar in termini di discriminazione, furto salariale, tasse di reclutamento illegale e altri abusi sul lavoro, come dimostra l’indagine aperta l’anno scorso dal ministero del Lavoro nei vicini Emirati Arabi Uniti sul comportamento della Crcc nella Khalifa Industrial Zone Abu Dhabi, dopo accuse plurime di non aver pagato, nutrito o fornito acqua ai propri lavoratori, oltre ad aver violato le normative sul lavoro degli Emirati impiegando lavoratori con visti turistici.
Tutto regolare insomma. Meno male che la Crcc dichiara orgogliosamente di aver sottoscritto il Global Business Compact e pubblica i suoi rapporti annuali sulla sua Social Corporate Responsibility. Forse sono quelle che hanno convinto lo studio di architettura britannico Foster + Partners a prestarsi al disegno dell’opera, mancando di menzionare nome e responsabilità di chi si è prestato all’esecuzione dello Stadio – esattamente come i giornali sportivi italiani che negli ultimi giorni ne hanno cantato le lodi. Il tramonto agonizzante dei principi del post ’48 continua a colorarsi di panem et circenses.