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Entropia o dialogo? I Comitati interministeriali visti da Frosini

Nascono nuovi Comitati interministeriali con l’ultimo Consiglio dei ministri, ma secondo il costituzionalista non c’è un rischio di maggiore confusione tra ministeri, almeno sulle norme. Se ci dovessero essere problemi, sarà per ragioni politiche, non per la volontà di dialogare su temi omogenei per i diversi dicasteri

Cambiano i nomi dei ministeri, cambiano le competenze, nascono nuovi Comitati interministeriali. L’ultimo Consiglio dei ministri del governo Meloni, tra le altre cose, ha varato il decreto legge con il riordino ministeriale. Nascono il Comitato interministeriale per il made in Italy nel mondo, la Struttura di supporto e tutela dei diritti delle imprese, il Comitato interministeriale per le politiche del mare, strutture che mettono in contatto i dicasteri le cui competenze arrivano a toccarsi e, in alcuni casi sovrapporsi. “Non è strano che nascano nuovi Comitati”, spiega a Formiche.net il prof. Tommaso Edoardo Frosini, professore ordinario di Diritto pubblico comparato e Direttore del dipartimento di giurisprudenza dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, “tanto più se si pensa che questo tipo di strutture esistono dal 1988”. Eppure, esiste il timore che il moltiplicarsi di nuovi organismi possa creare più entropia che contatto effettivo.

Professore, è così?

Partiamo dall’inizio: i Comitati interministeriali vengono codificati con la legge 400 del. 1988 sulla presidenza del Consiglio, quindi non da ieri, e hanno lo scopo di coordinare le attività inerenti a settori omogenei di competenza anche se ripartiti tra più ministeri. Insomma, lo scopo è proprio quello di far dialogare i dicasteri.

Allora nessun rischio?

No, il rischio ci può essere, ma non ha a che fare con la creazione di nuovi Comitati, bensì con l’eventuale mancanza di coesione politica, perché non può succedere che la mano destra non sappia cosa fa la mano sinistra…

Ci spieghi meglio.

Ci sono alcune materie che inevitabilmente vanno a impattare sugli Esteri o sul commercio con gli Esteri, sul Sud o sulle autonomie regionali, sulla Sanità o sull’ambiente. Il problema, allora, è che se il ministro della Sanità decide “bianco” e quello dell’Ambiente sul tema analogo decide “nero” non si capisce in che direzione orientare l’azione di governo: per il bianco o per il nero?

E così nascono le forme di coordinamento…

Esatto. L’dea è giusta e corretta per tentare di mettere insieme i ministri o i tecnici che possono essere chiamate a farne parte. Sono una sede di raccordo e compartecipazione sull’azione di governo in uno specifico settore. Che si possano scatenare degli attriti ci sta ed è normale nella logica di un governo di coalizione.

Senza i Comitati il rischio è lo sfaldamento?

Questo è un governo composto da tre forze politiche, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega. Tutte le forze politiche che lo compongono, benché si presentino unite, hanno delle istanze da portare avanti singolarmente. E allora certe scelte devono passare per forza per una forma di condivisione, altrimenti la Lega spinge, ad esempio con il ministero per le Autonomie regionali di Calderoli, in una direzione, mentre il ministero del Sud di Musumeci in un altro, e questo non va bene per una decisionalità governativa.

E allora?

Se non trovi un momento di confronto permanente su temi che posson portare al conflitto dei dicasteri rischi di spaccare il governo con ricadute che possono arrivare anche alla crisi di governo. Per evitarlo, nascono i Comitati interministeriali, e io la ritengo una giusta intuizione che peraltro esiste, anche se sotto spoglie diverse, anche in altri ordinamenti. Rientrano nella logica di una forma di governo complessa come quella italiana.

Come vede il rischio paralisi in queste strutture di raccordo?

Chiarirei un punto: questi comitati sono importanti ma non fondamentali. Fondamentale è l’azione di indirizzo politico del governo che consiste oggi nell’affrontare la crisi economica, nell’utilizzo dei fondi del Pnrr, e nell’attività di governo quotidiana delle tante cose che Meloni ha esposto quanto ha ricevuto il voto di fiducia. Tra queste cose, ci sono le attività dei Comitati interministeriali, che però non bloccano o precludono l’attività dei ministeri né del governo. Le criticità stanno nella politica, più che nella formulazione normativa.

Insomma nessun rischio entropia…

Giorgia Meloni ha davanti a sé 5 anni in cui dovrà dimostrare di sapere governare, e questo significa anche saper mettere assieme le diverse istanze delle forze politiche che compongono il governo, senza considerare poi il dialogo anche con le opposizioni. Però per governare 5 anni è necessario dialogare, e farlo bene, con gli alleati. Se i Comitati interministeriali – vecchi e nuovi – creeranno maggiore entropia sarà per ragioni politiche, non tecniche.



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