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Cosa lega Libia e Yemen? Il ruolo predominante delle milizie

La presenza di gruppi armati che dominano gli interessi economici, politici e sociali accomuna Libia e Yemen. Le milizie sono diventate attori di carattere statuale, sono incrostati ai gangli del potere e sfruttano le risorse (energetiche soprattutto) per rafforzarsi. Cosa dice il report Ispi curato da Eleonora Ardemagni e Federica Saini Fasanotti e perché interessa l’Italia

In un report pubblicato in questo giorni da Ispi, “From Warlords to Statelords: Armed Groups and Power Trajectories in Libya and Yemen”, vengono messe a confronto le attività che i gruppi armati svolgono in Libia e Yemen. Due dossier apparentemente diversi, sebbene entrambi parte degli interessi di politica estera italiani (la Libia sul Mediterraneo centrale, lo Yemen affacciato sul Corno d’Africa e parte della proiezione nel Mediterraneo allargato).

Scenari entrambi pervasi da istituzioni deboli e contestate, in cui le milizie hanno gradualmente portato le loro strategie di sopravvivenza, profitto e governance sotto l’ombrello dello Stato. I signori della guerra sono diventati i nuovi signori dello Stato. I gruppi armati controllano la maggior parte delle entrate energetiche, le infrastrutture critiche, il contrabbando e i traffici illeciti. I loro leader sono poliedrici: sono contemporaneamente comandanti militari, capi tribù, politici e uomini d’affari.

Combinando analisi comparative e casi di studio, Eleonora Ardemagni, ricercatrice associata Ispi e cultrice della materia in Storia dell’Asia Islamica e Nuovi conflitti all’Università Cattolica di Milano, e Federica Saini Fasanotti, analista dell’Ispi e della Brookings Institution, hanno curato una serie di contributi di esperti con cui fare luce sul “volto economico” dei gruppi armati e sulle loro traiettorie di potere. In che modo i gruppi armati costruiscono reti di profitto e di lealtà nei territori che detengono? In che modo il clientelismo segna una tendenza alla continuità con gli ex regimi autoritari?

I gruppi armati hanno costruito meccanismi clientelari a livello locale (“neopatrimonialismo armato”, lo definisce lo studio), come facevano i vecchi regimi su scala nazionale. I signori della guerra contemporanei di Libia e Yemen sono allo stesso tempo patroni e clienti: patroni nei confronti degli abitanti locali dei territori controllati, ai quali assegnano arbitrariamente entrate, licenze e posti di lavoro; ma clienti dello Stato esterno.

Dall’analisi emerge che sono anche clienti di potenze statali esterne da cui dipendono – con sfumature – per il sostegno finanziario, militare e di addestramento. I signori della guerra fanno spesso affidamento su una maggiore legittimità politica e ciò deriva dal riconoscimento dall’alto da parte di istituzioni legittime e/o stakeholder internazionali e da una crescente influenza a livello comunitario, nelle burocrazie educative e religiose.

Per il report curato da Ardemagni e Fasanotti – tra i maggiori esperti europei rispettivamente di Yemen e Libia – finché i leader armati monopolizzeranno le relazioni economiche nei contesti libico e yemenita, “immaginare una trasformazione effettiva da un conflitto a un’economia postbellica è semplicemente irrealistico”.

D’altronde, per esempio in Libia, dal 2011, la maggior parte dei gruppi armati percepisce lo Stato non come un insieme di istituzioni da servire o disobbedire, ma piuttosto, principalmente, come un premio da conquistare. Le istituzioni formali, soprattutto quelle legate all’energia, sono state gradualmente erose anche attraverso l’estorsione da parte dei gruppi armati, che svolgono il ruolo di “signori dello Stato ombra”.

Seguendo sempre l’esempio libico, i blocchi imposti da alcuni gruppi miliziani alle attività dei giacimenti e delle infrastrutture energetiche si è trasformato nel principale strumento di ricatto che questi possono esercitare nei confronti delle istituzioni, dei rivali interni e delle parti interessate esterne, nonché in una merce di scambio per ottenere l’accesso politico allo Stato. Incrostarsi ai gangli del settore energetico è stata una scelta tanto ovvia quanto strategica per le milizie.

In Yemen, altrettanto, le economie formali e informali dipendono fortemente dalle esportazioni di greggio. Per questo motivo, le vecchie élite, le autorità de facto e i gruppi armati criminali si stanno dando da fare per controllare le riserve di petrolio, cercando di dominare l’importazione di derivati del petrolio. Nel Paese, la corsa interna al controllo delle risorse petrolifere si è accelerata dopo la guerra del 2015 (quella che ha portato alla fuga del governo davanti all’avanzata del gruppo nordista Houthi), erodendo ulteriormente i confini tra attori formali e informali: di conseguenza, la rete di lealtà economiche è ora trasversale al dominio statale e non statale.

Il conflitto yemenita “è ora incentrato sulla creazione di una base economica che consenta ai gruppi armati di sostenere le strutture di governance (e non solo le operazioni militari) impedendo ad altri di farlo”, spiega l’analisi dell’Ispi. “Questa tendenza continuerà a indebolire le strutture statali, favorendo anche nuove dinamiche di conflitto nei governatorati ricchi di energia”. Altrettanto, nella Libia del dopo Gheddafi i gruppi armati, compresi quelli che svolgono un ruolo lungo la più attiva fascia litorale (e non solo quelli che dominano il contesto tribale del Sud, dove la provincia del Fezzan perde i suoi confini nel caos del Sahel), hanno subito un processo di “mafizzazione”.

“Si sono trasformati da giovani opportunisti e piccoli criminali a criminali con i colletti bianchi, che mantengono la capacità di compiere violenze estreme in strada. Ciò ha avuto un impatto profondo sulle aree politiche di interesse europeo, dalle forniture energetiche al controllo della migrazione”. La forza socio-politica ed economica di questa componente miliziane e le capacità che essa ha nell’influenzare le dinamiche connesse alla crisi istituzionale in corso, era stata evidenziata su Formiche.net da Karim Mezran (Atlantic Council).

In Libia, un’attenzione ristretta alle politiche di sicurezza, piuttosto che allo sviluppo e alla trasformazione politica in senso lato, “ha ulteriormente contribuito al rafforzamento dei gruppi armati, consentendo un effetto controproducente sugli interessi chiave dell’Europa e dell’Italia, vale a dire la migrazione e l’energia”, spiegano gli analisti dell’Ispi. Nello Yemen la governance dei confini marittimi è multigovernata: “I gruppi armati, con vari gradi di opposizione o alleanza con il governo riconosciuto a livello internazionale, controllano la maggior parte delle coste, delle città portuali e delle isole del Paese, traendo profitto da tariffe, dazi doganali e reti di contrabbando”. I Yemen la forza che certi attori hanno sviluppato nel controllo delle coste, li ha ulteriormente potenziati, rafforzandone il ruolo nelle attività di contrabbando.

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