Il fallimento della seconda “banca” crypto più grande al mondo ha dato un nuovo impulso all’industria, che si propone di anticipare le autorità nel rendere più sicuro e trasparente l’ecosistema. Un rapporto dell’Atlantic Council fotografa la situazione regolatoria di venticinque Paesi: ecco su cosa stanno lavorando
Il crollo di FTX – già definito il “momento Lehman Brothers” del settore crypto – è stato l’ultimo, terrificante esempio di cosa può accadere in assenza di regolamentazione. Lo sanno bene le aziende del settore, alle ricerca di soluzioni per non perdere definitivamente la fiducia dei loro investitori ed evitare il collasso della cripto-finanza. Diverse si sono già fatte avanti per chiedere di essere sottoposte a controlli di trasparenza e per dimostrare che l’opacità e la mala gestione dei fondi dei clienti non sono problemi endemici. Altre prendono l’iniziativa, tornando alle origini: la blockchain.
Una serie di exchange (che, come FTX, agiscono sia come piazza di scambio che come “banca” per alcuni investitori) si stanno impegnando a pubblicare “proof of reserves”, ossia mettere “in chiaro” i portafogli virtuali in cui sono contenute le riserve finanziarie affinché tutti possano verificarne l’esistenza. Così ha fatto fondatore e Ceo di Binance, Changpeng Zhao, per dimostrare che la sua azienda (a differenza della rivale FTX, si è poi scoperto) non era affatto insolvente. E, in qualche misura, per anticipare l’ondata regolatoria che potrebbe trasformare il settore in maniera sfavorevole per Binance.
“Come industria dobbiamo aumentare la trasparenza. Dobbiamo lavorare a stretto contatto con le autorità di regolamentazione di tutto il mondo per rendere questo settore più solido”, ha detto CZ durante una conferenza a Bali, in Indonesia, poco prima che iniziasse il vertice G20. Binance intende guidare uno sforzo collettivo, inter-aziendale, per stabilire nuovi standard globali al fine di evitare il ripetersi di eventi come il fallimento di FTX (dove la rivalità tra il Ceo Sam Bankman-Fried e il rivale CZ ha svolto un ruolo tutt’altro che indifferente).
QUANTO È REGOLATO IL CRIPTOVERSO?
L’Atlantic Council ha voluto fotografare lo stato della regolamentazione del settore, che varia notevolmente da Paese a Paese. In metà di quelli del G20, che rappresentano oltre il 50% del Pil mondiale, le criptovalute sono pienamente legali; in tutti si stanno studiando nuove leggi, secondo il Cryptocurrency Regulation Tracker. Non che ci sia una particolare correlazione tra regolamentazione e diffusione delle crypto, anzi: nei sei dei primi dieci Paesi per adozione di criptovalute sono in vigore divieti parziali e generali.
Nei Paesi più draconiani – Cina, Arabia Saudita e Pakistan – gli utenti riescono ancora a scambiare e detenere criptovalute, probabilmente a causa del ritardo nell’applicazione delle leggi, delle effettive capacità di applicazione e dalla volontà politica. Dove è legale detenere crypto, invece, le norme stanno cambiando rapidamente. Tra i Paesi esaminati, l’88% sta apportando modifiche sostanziali al proprio quadro normativo, spesso attraverso nuove leggi ad hoc per i relativi mercati, scrivono gli autori dello studio.
Le stablecoin, crypto fissate al valore di una valuta tradizionale, “costituiscono la prossima frontiera della regolamentazione”, scrivono i ricercatori. Ue, Stati Uniti, Regno Unito e Thailandia stanno valutando la possibilità di regolamentarle, mentre in Messico si è già deciso che le istituzioni finanziarie non possono emetterle. Non a caso il campo si intreccia con un altro oggetto di studio dei regolatori: dei 25 Paesi in oggetto, più del 90% ha progetti in corso per costruire una valuta digitale basata sulla propria banca centrale.
LO SPAZIO PER CRESCERE
Non mancano le opportunità per la sperimentazione normativa e la collaborazione con il settore privato. Il Giappone, per esempio, ha creato un’associazione di scambi ed emittenti di criptovalute nel tentativo di incoraggiare l’autoregolamentazione; Arabia Saudita, Canada, Italia e Messico hanno sviluppato sandbox (ambienti virtuali ristretti) normativi. Ma ogni utente si avventura nel settore a suo rischio e pericolo, perché non esistono protezioni finanziarie di sorta.
Solo il 44% dei Paesi esaminati dall’Atlantic Council dispone di norme apposite – leggi sulla pubblicità, requisiti di sicurezza informatica per i fornitori di servizi, accreditamento degli investitori e non solo – che possono aiutare a prevenire le frodi. E domenica il capo della vigilanza finanziaria della Banca Centrale Europea, Andrea Enria, ha detto al Financial Times che le autorità di regolamentazione faranno fatica a supervisionare i fornitori di crypto-asset. A detta sua “non pensano mai ai rischi finanziari, non rispettano i confini nazionali e pongono un enorme problema di protezione dei consumatori”.
In Europa il disegno di legge sui mercato crypto non sarà in vigore fino al 2024 almeno, altrove il progresso è ancora inferiore. È in questo questo spazio che alcune grandi aziende del settore spingono da mesi, con iniziative know your customer e sistemi antiriciclaggio che mirano a far diventare il criptoverso uno spazio più affidabile (e non restrittivo per le loro attività). Il collasso di FTX, che fino a poco fa era la seconda crypto exchange più grande al mondo, sta galvanizzando questi sforzi; CZ, a capo della prima, intende guidarli nel tentativo di anticipare – e influenzare – i regolatori.