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Perché l’Italia si è fermata. Economisti a confronto sul libro di Codogno e Galli

Come far rinascere il Paese, tra Pnrr, bilancio e transizione ecologica? Di questo e non solo tratta il volume “Crescita economica e meritocrazia. Perché l’Italia spreca i suoi talenti e non cresce” (ed. il Mulino e, nell’edizione inglese, ed. Oxford) degli economisti Lorenzo Codogno, visiting professor docente alla London School of Economics, e Giampaolo Galli, docente dell’Università Cattolica di Milano e vice direttore dell’Osservatorio sui Conti pubblici, presentato al Circolo Tennis Club Parioli di Roma

In uno scenario internazionale di incertezza geopolitica, economica e sociale, tra guerra, crisi energetica e rischi sanitari, l’Italia affronta le sfide di uno dei periodi più difficili della storia. Alle prese con attuazione del Pnrr, manovra di bilancio legata all’emergenza per imprese e famiglie, transizione ecologica e digitale, disastri ambientali, quali strumenti di rinascita?

Nella necessità di maggiore competenza e innovazione, sono, inoltre, allarmanti i dati della crisi demografica e della fuga all’estero dei giovani, mentre scuola e politica si dividono sul senso del “merito”. Valorizzazione di talenti o misura per acuire disuguaglianze tra “vincenti” e “perdenti”? Termine, comunque, per sua stessa natura, affascinante e insieme ambiguo.

Quale identikit, dunque, per un Paese con desiderio di riscatto ma che non ha più crescita economica?

Un bel libro si inserisce, ora, in questo contesto. Il titolo è emblematico “Crescita economica e meritocrazia. Perché l’Italia spreca i suoi talenti e non cresce” (ed. il Mulino e, nell’edizione inglese, ed. Oxford) degli economisti Lorenzo Codogno, visiting professor docente alla London School of Economics, e Giampaolo Galli, docente dell’Università Cattolica di Milano e vice direttore dell’Osservatorio sui Conti pubblici.

Il volume, che prende le mosse anche dall’esperienza personale diretta degli autori, in Italia e all’estero, è stato presentato, a Roma, presso lo storico Circolo Tennis Club Parioli. Con Galli, Beniamino Quintieri, Presidente della Fondazione Tor Vergata, e Giovanni Tria, Presidente della Fondazione Enea Tech e biomedical, già ministro dell’Economia. L’incontro, organizzato da Emanuela Andreoli, alla presenza del Presidente del T.C. Parioli notaio Paolo Cerasi, è stato moderato dalla giornalista Ansa Monica Paternesi.

Non solo un libro per “addetti ai lavori”, pur nella specificità della stringente analisi economica. Dati comparativi su circa 300 indicatori, relativi a 167 Paesi, “che vanno oltre le variabili puramente economiche e forniscono informazioni su dimensioni chiave per la performance di un paese, come il capitale sociale, la governance, le pratiche aziendali, l’istruzione, lo stato di diritto, la criminalità organizzata e la corruzione. La posizione relativa dell’Italia riguardo a molti indicatori del capitale sociale, o, se si vuole, dello spirito civico, sono davvero poco incoraggianti”, è la pragmatica valutazione degli autori.

L’Italia, nell’ultimo quarto di secolo, ha smesso di crescere, raggiungendo quasi il gruppo dei paesi più poveri dell’Ue. Nel secondo trimestre del 2022, l’economia italiana è tornata ai livelli del 2019, superando il crollo dovuto alla pandemia. Ma fra il 1995 e il 2019 il divario cumulato nella crescita del Pil è stato di 32,1 punti percentuali rispetto alla Francia, 23,7 rispetto alla Germania, 29,5 rispetto alla media dell’Eurozona, 64,5 rispetto agli Stati Uniti. Reddito pro capite fermo a trent’anni fa, come ha sottolineato Beniamino Quintieri.

Alle radici del problema, oltre politiche macroeconomiche poco accorte, c’è la stagnazione della produttività.
Attraverso la storia economica italiana, il libro di Galli e Codogno scandaglia i mali originari di un’Italia che si è fermata e propone riflessioni per un’inversione di rotta a tutto campo, in una società complessa.

Con l’ottimismo e la fiducia in una rinascita che parta, soprattutto, da competenza e meritocrazia. Per ridurre condizioni di disuguaglianza e recidere ogni forma di familismo, nepotismo, casta.

Formazione e merito sono i punti nodali della ripresa e dello sviluppo economico, per affrontare la competizione internazionale e valorizzare i talenti.

Soluzioni “semplici” ma radicali sul piano etico e con ricadute positive sulla società e sull’intero sistema produttivo. Il merito, per gli economisti garanzia anche per pari opportunità, in una cornice di valori che guardano con rigore e concretezza a funzionalità e risultati. Passato, presente e futuro a confronto.

Dalla magistratura al mondo del lavoro, dalla scuola alla sanità e alla finanza, dalla politica alla Pubblica amministrazione e ai servizi, nessun ambito sfugge ai riflettori degli economisti. La mancanza o la scarsa rilevanza della meritocrazia ha inquinato ogni settore e ha contribuito a formare leadership attraverso un “meccanismo difeso da molti interessi costituiti e da lobby più o meno potenti in molti diversi angoli della società e dell’economia”.

Riflessione non nuova, come si legge nella stessa “Introduzione” al libro di Codogno e Galli. Franco Modigliani, già professore del Mit, premio Nobel per l’economia 1985, rientrando in Italia dagli Stati Uniti nel 1955 dopo aver lasciato l’Italia per sfuggire alle leggi razziali, valutava il sistema educativo italiano con pochi professori “immediatamente sotto Dio”, tanti assistenti “speranzosi e servili” e studenti “di cui nessuno si preoccupava”. E concludeva così: “Questa è l’origine profonda della crisi italiana perché una leadership che è stata selezionata sulla base della sua capacità di accettare l’umiliazione e rinunciare al rispetto di sé non può governare l’Italia”.

E oggi? “Il merito non viene premiato semplicemente perché la concorrenza è assente nel sistema educativo italiano. La carriera di un professore, come quella di tutti i dipendenti pubblici, dipende dall’anzianità e dalle relazioni”, dicono gli autori. “La lobby collettiva dei professori universitari è riuscita a tenere la valutazione e il merito fuori dalla porta delle università”.

Sotto esame anche una lettura, maturata negli anni ’70, di “un malinteso concetto di solidarietà sconfinato nell’egualitarismo. L’Italia è così passata dall’idea, giusta, che ci debba essere solidarietà a una pratica che ha finito per punire piuttosto che premiare il merito e la creatività degli individui e delle comunità”, si legge ancora nel libro.
Dando anche vita ad una “bonuslandia” (come riportata da un editoriale del Corriere della Sera) richiamata, nell’interessante conversazione al Circolo Parioli, da Beniamino Quintieri. Sussidi privi di alcuna finalità di crescita economica e non adeguati a rimuovere disuguaglianze. Bonus e superbonus di ogni genere. Di tipo edilizio, per mobili e elettrodomestici, bonus verde e idrico, per zanzariere, bebé e “mamma domani”, per centri estivi e vacanze, animali domestici, bonus terme, per veicoli e bici, solo per citarne qualcuno.

In un processo che, a partire dagli anni ’90, con l’apertura al mercato internazionale, avrebbe richiesto la conoscenza come requisito essenziale per la crescita economica, “fatta eccezione per poche centinaia di aziende internazionalizzate, la maggior parte delle imprese italiane e delle istituzioni italiane non ha saputo affrontare le sfide della nuova era. Un’economia aperta basata sulla conoscenza richiede una struttura di incentivi che premi lo sforzo individuale e la ricerca di alto livello. Questo in Italia è in larga parte mancato”, affermano gli esperti Codogno e Galli.

Inoltre, come sottolineato da Giovanni Tria, gli investimenti esteri sono stati frenati da alcune peculiarità del sistema italiano quali variabilità normativa, rischi e difficoltà giuridiche e burocratiche che hanno scoraggiato gli investitori penalizzando crescita, innovazione e produttività del nostro Paese.

Divario di genere e gerontocrazia sono le “conseguenze più odiose di questo stato di cose. L’Italia è uno dei paesi al mondo con il più alto divario di genere nel tasso di occupazione. Anche se questo non è l’unico fattore in gioco, se il merito fosse un fattore decisivo nelle scelte di assunzione delle aziende, il divario di genere sarebbe più vicino a quello dei paesi più avanzati. L’Italia è anche uno dei paesi in cui i giovani hanno il tasso di occupazione più basso e, quando trovano un lavoro, la loro retribuzione è spesso molto bassa e migliora solo molto lentamente con l’anzianità, anziché con il merito. Il messaggio è che i giovani, per quanto dotati di talento, devono aspettare. Naturalmente, quelli che possono – spesso i più brillanti – lasciano il paese”, si legge nel volume.

Il libro pone, dunque, tanti interrogativi. Quali risposte? Riforme strutturali possono essere le leve per un riscatto ritenuto dagli autori non utopico, ma anzi possibile, per il nostro Paese.

“Da molti anni, la Commissione europea, l’Ocse e il Fmi propongono riforme per la crescita. Si tratta principalmente di riforme volte ad aumentare la concorrenza nel mercato dei beni, a rendere meno rigido il mercato del lavoro e, soprattutto, ad aumentare l’efficienza della pubblica amministrazione e del sistema giudiziario; inoltre, tutte queste organizzazioni hanno invitato l’Italia ad affrontare, pur con la necessaria gradualità, il problema del debito pubblico”.

“La Storia non è un destino. Cambiare si può”. È il messaggio qualificato e convinto dell’economista Galli a conclusione dell’incontro. È la speranza dell’Italia del domani.

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