L’inflazione è il grande nemico della crescita e si vuole sopravvivere bisogna agire, aspettando che la guerra finisca. Gli assi italiani sono produttività ed esportazioni, ma anche una vigilanza attenta sul costo del denaro. E il passato può aiutare. Gli spunti e le riflessioni dalla presentazione alla Lumsa del libro su Antonio Fazio di Ivo Tarolli
Se la storia è maestra di vita, allora Antonio Fazio ci aveva visto lungo. Economista ma soprattutto governatore di Bankitalia dal 1993 al 2005, negli anni della crisi della lira e delle grandi privatizzazioni di Stato, fino al delicato passaggio all’euro, Fazio è finito direttamente dentro il libro Antonio Fazio e i fatti d’Italia, di Ivo Tarolli (Cantagalli edizioni), presentato ieri sera all’Università Lumsa, alla presenza, tra gli altri, di Franco Bechis, direttore Verità&Affari, Enzo Papi, presidente e ad di Termomeccanica Group, Raffaele Bonanni, già segretario generale Cisl, Giuseppe Di Taranto, docente di Storia dell’economia e dell’impresa, Paolo Savona, presidente Consob, Giuseppe Sabella, docente di relazioni industriali, oltre agli stessi Fazio e Tarolli.
Filo conduttore, alcune intuizioni dell’ex numero uno di Via Nazionale, ormai datate tre decenni, ma tornate improvvisamente attuali. Partendo da una premessa e cioè che guerra e pandemia sono solo gli ultimi due shock con significative conseguenze economiche. Negli ultimi anni, ne sono accaduti diversi, a cominciare dalla grande crisi finanziaria globale e dagli scampati collassi dei debiti sovrani europei tra il 2011 e il 2012.
Ma oggi ci sono delle domande da porsi. E cioè, dopo due anni e mezzo di pandemia e nel mezzo di una guerra con crisi inflattiva annessa, quale futuro per l’Ue? Per l’economia italiana? E, in particolare, come rilanciare la competitività del Sistema Paese? Mentre le potenze americana e cinese dimostrano migliori capacità di sostenere le loro economie e sembrano più attrezzate rispetto alle emergenze contingenti, l’Europa pare ancora divisa e debole rispetto ai problemi che derivano dall’inflazione e dalla crisi delle materie prime.
Dentro questo quadro l’Italia costituisce un anello debole, per ragioni diverse e largamente datate, pur presentando molti punti di forza, basti pensare alla qualità del made in Italy e al risparmio delle famiglie. Migliore competitività e produttività del Paese in una Unione europea che non sia solo monetaria costituiscono obiettivi da conquistare. A tutti i costi.
“Questo è un libro coraggioso”, ha esordito Di Taranto. “Io sono contro il pensiero politicamente corretto e allora devo dire che questo libro ha finalmente messo in luce tutto quello che è stato fatto in quegli anni per approdare all’euro. Per esempio, perché le grandi banche straniere sono arrivate in Italia negli anni 90? Perché gli italiani sono sempre stati dei grandi risparmiatori e questo Fazio lo capi. Quanto all’euro, qualcuno dovrebbe spiegare perché abbiamo vissuto nel mito del rapporto deficit/Pil al 3%, pur senza avere alcuna base scientifica di quel numero. Li chiamano numeri magici, che hanno massacrato la Grecia. E noi abbiamo assistito impotenti a questo massacro. Questi libro porta alla luce queste vicende”.
Bonanni è invece partito dalla produttività di un Paese “che sta perdendo colpi. La produttività è l’unica carta che abbiamo da giocare per riprendere un cammino di crescita, di progresso e di benessere. Oggi abbiamo i salari fermi a trent’anni fa. Mi dispiace di fare questo discorso, ma quando governa la sinistra non si riesce a discutere di produttività, perché se si dice di aumentarla allora viene tutto associato allo sfruttamento. Allora si potrebbe immaginare il premio alla produttività. Va benissimo, ma il premio va dato a chi magari in là con l’età ha più difficoltà ad aumentare la stessa produttività”.
In scia al discorso di Bonanni, il presidente della Consob Savona, per il quale “il problema dell’Italia è la fiducia e senza fiducia non ci sono investimenti, produzione ed esportazioni. Ecco quale è il vero problema, la mancanza di fiducia. Nei mesi scorsi, al termine dei lockdown, l’Italia aveva creato una montagna di fiducia, che poi ha alimentato anche l’inflazione. Ci siamo così trovati in una situazione di vantaggio, che ci ha messo in posizione dominante rispetto all’Europa. Eppure l’Italia ancora una volta non è riuscita a sfruttare questo credito”, ha spiegato Savona. “Ma sono arrivati due problemi, esterni al Paese. Ovvero l’inflazione e la necessità di riprendere il controllo del nostro debito. L’inflazione non può essere affrontata con gli strumenti classici e allora o si utilizza la stretta fiscale o si va nella direzione di un aumento del Pil”.
Le conclusioni sono state affidate allo stesso Fazio, che ha ricordato l’intervento di Via Nazionale allo scoppiare dell’inflazione, a metà anni 70. “Nel 1974 c’era la crisi energetica, con la quintuplicazione dei prezzi del petrolio”, ha ricordato l’ex governatore. “Ma il salvataggio dell’Italia e della lira, che fu svalutata, alla fine funzionò perfettamente. Con la crisi petrolifera del 1973 esplose un’inflazione galoppante, da noi ulteriormente pompata dalle svalutazioni della lira. In Italia il carovita volò dal 5,2% del 1972 al 19% del 1974, mantenendosi attorno al 15% fino alla fine del decennio, quando si impennò di nuovo fino a toccare uno spaventoso 21,7%. Ma Bankitalia si impegnò a garantire il successo delle aste dei titoli di Stato, stampando moneta per comprare le obbligazioni rimaste invendute”.