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Il tentativo di Conte per rubare voti al Pd usando la “pace”. Parla Ignazi

“Il Pd è un partito traumatizzato dal mancato successo elettorale, mentre il M5S è galvanizzato dallo scampato pericolo della scomparsa. Sull’Ucraina penso di intuire che la linea di Conte, comunque, sia quella di essere contrario all’invio di armi alla cieca, senza aver individuato una via d’uscita dal conflitto”. Conversazione con Piero Ignazi

La maggioranza marcia compatta. Nessuna sbavatura: la mozione unitaria sul conflitto Russia-Ucraina passa alla Camera e, alcune parti, trovano sponda anche nella minoranza. L’impegno del governo ora è quello di rinnovare il decreto autorizzativo per l’invio di armi alle autorità di Kyiv. Approvate anche le risoluzioni di Partito democratico e Azione-Italia Viva, in continuità con la linea Draghi. Respinta, invece, la mozione del Movimento 5 Stelle.

Nel corso del dibattito, il presidente pentastellato Giuseppe Conte ha tacciato l’esecutivo di avere “una linea guerrafondaia”. Il problema della linea di Conte sull’invio delle armi, secondo il politologo Piero Ignazi, docente di Unibo, è “l’impostazione e la scarsa esperienza in politica estera”.

Ignazi, che cosa intende dire?

Una mozione alternativa a quella della maggioranza avrebbe dovuto creare una correlazione il tema dell’invio delle armi, la necessità di avviare una trattativa per la pace e la durezza nei confronti di Vladimir Putin. Senza una di questi elementi, crolla tutto il castello. Questa capacità di sintesi presuppone un’esperienza e una capacità politica che Conte evidentemente non ha. Penso di intuire che la linea di Conte, comunque, sia quella di essere contrario all’invio di armi alla cieca, senza aver individuato una via d’uscita dal conflitto.

Conte durante il suo discorso ha fatto più volte riferimenti alle piazze che chiedono la pace. È un modo per erodere consensi al Partito democratico?

Che Conte sia impegnato ad allargare la base elettorale del Movimento 5 Stelle è più che evidente ed è legittimo. Chiaramente il bacino da cui attingere è quello del centrosinistra. Dunque perlopiù del Partito democratico.

Questo sbarra la strada all’ipotesi di eventuali alleanze?

Per il Partito democratico l’alleanza con il Movimento 5 Stelle è quasi una scelta obbligata. O viceversa. Anche se i rapporti fra i leader dei due partiti sono ben lungi dall’essere saldi. Tanto più che alle elezioni c’è stato più di un attacco reciproco e i partiti si sono tenuti ben alla larga l’uno dall’altro.

In questa fase il Partito democratico non sembra molto incisivo nel dibattito politico. 

Per forza. Il Partito democratico è un partito traumatizzato dal mancato successo elettorale, mentre il Movimento 5 Stelle è galvanizzato dallo scampato pericolo della scomparsa. È evidente comunque che dem e pentastellati siano rimasti le uniche due forze di minoranza. Il Terzo Polo è diventato la stampella del governo. Carlo Calenda e Matteo Renzi corrono dove conviene.

Che cosa serve per rilanciare il Partito democratico, visto che si sta aprendo la fase congressuale?

Servono due o tre idee chiare e concentrarsi su quelle. Ce ne sono in abbondanza. Le mie preferite ovviamente sono il salario minimo e lotta alle disuguaglianze, ossia intervenire sulle questioni economico-sociali, abbandonate da tempo. Riallacciare i rapporti con il mondo sindacale. Anche se le scorie renziane sono ancora difficili da espellere.

Tornando alla mozione, si aspettava questa compattezza della maggioranza? 

Nonostante alcune vecchie amicizie filo-putiniane, non mi aspettavo francamente un esito diverso. Molto probabilmente ha prevalso la convinzione che non ci si possa permettere di impostare, sul conflitto, una politica diversa da quella fatta dagli alleati europei e dalla Nato.

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